mecenatismo

Quel patto necessario tra pubblico e privato per valorizzare la cultura

di Giovanna Mancini

3' di lettura

Un rapporto non sempre facile ma imprescindibile, in un Paese dal patrimonio artistico e culturale tra più ricchi al mondo, che necessita di manutenzione e cura costanti, ma che le istituzioni pubbliche, da sole, non sono più in grado di garantire. La solidarietà tra impresa e cultura in Italia affonda le sue radici lontano ma, nel tempo, ha vissuto alterne fortune. Ora sembra finalmente aver imboccato la strada della maturità.

Lo dimostra il successo dell’Art Bonus, come ha ricordato il sottosegretario al ministero dei Beni culturali e del Turismo, Ilaria Borletti Buitoni, intervenendo ieri al convegno «Impresa e cultura: un amore possibile», organizzato a Milano dalla Fondazione Bracco in occasione della presentazione del volume per i 90 anni di storia del Gruppo Bracco. Un confronto sul mecenatismo che ha aperto la XVI Settimana della cultura d’impresa di Confindustria (oltre 70 eventi in tutto il Paese, molti dei quali nei musei d’impresa).

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Introdotto nel 2014, l’Art Bonus (un incentivo fiscale che prevede un credito di imposta del 65% per le donazioni in favore della cultura) ha portato circa 5.400 mecenati a donare oltre 170 milioni per la realizzazione di 1.183 interventi a favore di musei, monumenti, siti archeologici e fondazioni lirico-sinfoniche. Certo, ci sono forti differenze territoriali, con l’80% delle erogazioni che si ferma nel Nord del Paese.

Milano rappresenta una best practice e non da oggi, hanno sottolineato il presidente di Museimpresa Alberto Meomartini e l’assessore alla Cultura della città, Filippo Del Corno, ricordando che proprio l’offerta culturale del capoluogo lombardo è uno degli elementi forti della candidatura di Milano a ospitare la sede dell’Agenzia europea del farmaco in uscita da Londra. Tuttavia, se un rapporto stretto tra mondo delle imprese e cultura è necessario, lo è altrettanto «definire in maniera cosciente e responsabile il tema dell’utilità – ha detto Del Corno –. La ricchezza del patrimonio cognitivo di una comunità sia alla base dello sviluppo economico e sociale della società. Concorrere alla valorizzazione di questo patrimonio, per un’impresa, è utile anche al suo sviluppo». La stessa Milano deve la forte crescita quantitativa e qualitativa delle esperienze di produzione culturale degli ultimi anni in buona parte proprio «all’impegno dei privati e delle imprese del territorio», ha concluso l’assessore.

Sulla stessa linea Diana Bracco, presidente di Fondazione Bracco, secondo cui la vera rivale di Milano per la sede Ema è Amsterdam e non Bratislava: «Il bene comune deve riguardare tutti i cittadini, imprese comprese». Occorre però, ha aggiunto Bracco, che le istituzioni «sappiano dialogare con i privati, andando oltre il mero rapporto di sponsorizzazione. Alle imprese devono essere offerte certezze sui tempi di realizzazione dei progetti e garanzie sui benefici e sull’impatto reale». Una progettualità condivisa tra pubblico e privato è necessaria ed è quello che ha consentito allo stesso gruppo Bracco, ha ricordato la presidente «di creare partnership solide e durature con grandi istituzioni come il Teatro alla Scala e la sua Accademia, il Palazzo del Quirinale o il Museo Poldi Pezzoli».

Proprio l’esperienza della Scala, il cui bilancio è sostenuto per oltre un terzo dai finanziamenti dei privati, testimonia il ruolo imprescindibile delle imprese per la cultura: «Negli ultimi anni il contributo del pubblico si è ridotto e anche il ruolo di noi direttori è cambiato - ha detto il sovrintendente del teatro lirico milanese, Alexander Pereira –: oltre a garantire la qualità dei contenuti artistici, dobbiamo riuscire anche ad attrarre gli investimenti dei privati. Non tutti lo hanno capito, ma questa è la strada da percorrere».

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