Quella doppia trappola per Pechino
di Giorgio Barba Navaretti
3' di lettura
Che la Cina associ il rischio sistemico delle sue banche ai crediti concessi alle proprie grandi compagnie internazionali, è un po’ come puntare alla luna per arrivare al sole.
Come lucidamente ricordava Martin Wolf qualche mese fa sul Financial Times, la Cina ha due problemi di fondo molto seri che non si capisce davvero come potrà risolvere.
Da un lato una colossale bolla creditizia, pari al 260 per cento del Pil. Credito che ha finanziato investimenti spesso insostenibili, sia in attività produttive che nell’immobiliare.
Alla fine del 2015 gli investimenti cinesi erano pari ad oltre il 40% del prodotto interno lordo, livello compatibile con un’economia in crescita a due cifre, ma in eccesso rispetto ad una crescita del 6 per cento.
D’altra parte ha un tasso di risparmio elevatissimo, pari a quasi il 50 per cento del Pil, che non riesce a trovare impieghi domestici adeguati. Le famiglie e le imprese cinesi, dunque, in un modo o nell’altro, cercano di fare uscire il loro surplus di risparmio dal paese alla ricerca di impieghi sul mercato globale. E per questa ragione le riserve sono calate di mille miliardi di dollari tra il giugno del 2014 e il gennaio del 2017, nonostante l’elevato surplus commerciale.
Che cosa fare? Se la Cina si aprisse completamente ai mercati dei capitali, molto probabilmente ci sarebbe un deflusso ancor maggiore di attività finanziarie, creando ulteriore instabilità e un collasso del renmimbi. Dunque, l’apertura ha le redini tirate, questa strada non è certamente incoraggiata dal governo. E forse è buona cosa anche per noi.
Una Cina con un sistema finanziario così fragile completamente integrato in quello globale rischia di creare un altro tsunami mondiale, che è certamente bene evitare.
L’altra strategia sarebbe contenere la bolla creditizia e gli investimenti interni, tirando infine le redini al tasso di crescita. Ma di nuovo, con una montagna di risparmi che continua ad accumularsi, non è molto semplice farlo e dunque credito e investimenti continuano a crescere.
L’impossibilità di uscire dalla trappola in cui si è cacciata, fa sì che il governo ogni tanto spari a caso per mostrare muscoli che in verità non ha.
E appunto, come si diceva, non potendo raggiungere il sole mira alla luna.
Da un punto di vista simbolico, l'attacco alle grandi corporation cinesi globali è un obiettivo perfetto, risolve tutti i problemi.
È un indicazione forte che il credito va erogato con cautela, anche alle grandi e potente imprese globali come il gigante dell’entertainment Dalian Wanda o il gruppo Fosun internationale.
È anche un modo di indicare che investire troppo all’estero non va bene.
Tutte queste società hanno fatto ed hanno in programma investimenti colossali all’estero. E ovviamente grazie a transazioni intercompany possono facilmente trasferire fondi al di fuori del paese.
Significa questo che non vedremo più apparire fondi e gruppi cinesi che cercano di comperare le nostre società, pneumatici, supermercati e squadre di calcio?
Difficile, per la Cina continuare ad investire globalmente è un modo per acquisire tecnologie e penetrare nei mercati.
Per un’economia che è sempre cresciuta grazie all’export, rinunciare a questi investimenti sarebbe impossibile. Piuttosto è probabile che si tratti di uno specchio per le allodole, per distrarre dai veri problemi del sistema bancario cinese, forse legato a regolamenti di conti interni.
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