Quella dei podcast non è una bolla, ma una cosa seria
Sono nati come passione da nerd e ora dilagano ovunque. Ma non chiamatela tendenza: è un format destinato a durare perché punta tutto sull'“ascolto confidenziale”
di Luigi Lupo
3' di lettura
Le voci dei podcast arrivano nelle orecchie di un pubblico sempre più numeroso in tutto il mondo, Italia compresa. Secondo una ricerca di Nielsen commissionata da Audible, l'anno scorso nel nostro Paese i fruitori sono stati 12 milioni, con un incremento del 16 per cento rispetto al 2018. I maggiori ascoltatori sono i giovani (il 68 per cento va dai 25 ai 34 anni di età), già appassionati consumatori di contenuti in streaming.
Quando sono nati, nel 2004 (anno in cui dal Guardian arrivava la denominazione della tecnologia per la diffusione sul web di contenuti audio on-demand), a utilizzare i podcast erano soltanto pochi appassionati. Di fronte a un microfono collegato al computer, nerd e blogger inscenavano monologhi e primordiali talk-show trasponendo il flusso di pensieri e racconti che animavano i diari online. Senza una sceneggiatura, privi di idee sulla costruzione di un “sound design” che potesse avvolgere le voci. Poi sono arrivate le radio, che hanno cominciato a pubblicare sui propri portali le registrazioni dei format trasmessi in diretta, nell'etere. Una forma di offerta asincrona, svincolata dal tempo reale, che si allineava a quanto stava accadendo nel mondo televisivo. Di podcast veri e propri, professionali, avulsi dai canali tradizionali, non si aveva ancora voce. Almeno fino al 2014, anno in cui This American Life, show settimanale trasmesso negli Stati Uniti dall'emittente WBEZ, distribuisce in rete Serial, in cui la reporter Sarah Koening indaga – tra voci, racconti, suoni e telefonate – sull'omicidio di Hae Min Lee, una 18enne uccisa nel 1999 a Baltimora.
Il successo clamoroso di quelle puntate rimane una delle più evidenti dimostrazioni di come il formato possa rappresentare un ottimo alleato per il giornalismo d'inchiesta, sviluppato con taglio narrativo e serializzato. Quello dell'informazione, infatti, è l'ambito che può trarre più benefici dalla dimensione dell'ascolto: un podcast giornalistico come può essere The Daily – il format di grande successo del New York Times condotto da Michael Barbaro – spezza il ritmo frenetico delle notizie che scorrono sui social. L'utente entra nell'attualità in una modalità più informale, confidenziale, che lo accompagna durante le attività della giornata senza gli occhi sullo schermo. Ed è proprio nella specificità del canale uditivo che risiede la potenza del podcast, destinato a rimanere, a non sfumare dopo che le luci oggi accese sul “fenomeno di tendenza” si spegneranno.
Versatilità e ridotti costi di produzione rispetto ai prodotti video permettono al medium di adattarsi a qualsiasi contenuto. Vista l'intimità che si instaura tra host e ascoltatore, il podcast si presta al racconto di esperienze di vita personali (Be My Diary di Rossella Pivanti, per esempio); oppure può essere sfruttato per trasporre in formato audio conferenze e talk (prendete quello di Alessandro Barbero: lezioni appassionate e avvincenti tratte dagli incontri che lo storico tiene in giro per l'Italia). Le narrazioni audio colmano i momenti vuoti, ci accompagnano, sostituiscono l'angosciante “scroll” dei social network con racconti che sembrano arrivare dalla voce di un amico che è lì a parlarci.
Racconta Jonathan Zenti, autore indipendente: «Ci sono tutti gli elementi perché l'entusiasmo registrato negli ultimi mesi sia il segnale di un'età d'oro per i contenuti audio on-demand in Italia. Devono però cambiare un po' di cose. Prima di tutto, l'atteggiamento di editori e manager, chiamati a investire in modo coraggioso e a lungo termine: che non pensino che i podcast possano rappresentare, per esempio, una soluzione per risolvere quello che nelle loro aziende non funziona da tempo». Fuori dall'Italia, intanto, i “branded-podcast” si moltiplicano. Nike, Goldman Sachs, Tinder, Netflix utilizzano la coppia voce-suoni per promuovere narrazioni legate ai loro prodotti. Dietro al podcast si muovono i più grandi colossi del web, e oltre a Apple e a Google – che ha migliorato l'algoritmo di ricerca delle serie audio – spicca l'attivismo di Spotify. Perché ora, da ascoltare, non c'è più soltanto la musica.
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