Quella voglia di «grande centro» che non porta voti
di Riccardo Ferrazza
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Se torna il proporzionale, allora perché non dovrebbero rinascere i partiti che con quel sistema elettorale hanno proliferato nella Prima repubblica, a partire ovviamente dalla Democrazia cristiana? Sembra essere questo il ragionamento dietro l’iniziativa lanciata da un uomo simbolo di un’epoca, Ciriaco De Mita. L’89enne sindaco di Nusco (la sua città natale in provincia di Avellino), segretario della Dc tra il 1982 e il 1989, ha convocato per venerdì a Palazzo Caracciolo a Napoli esponenti politici che hanno nel proprio dna il popolarismo: «D’Alema e Bersani - ha spiegato De Mita, deputato della Dc per undici legislature, dal 1963 al 1994 - tornano alle loro radici per fare la sinistra che anche culturalmente hanno rappresentato da protagonisti. Lo stesso viene chiesto a noi, popolari, ex Dc, senza distinzioni e senza rivangare torti e ragioni che pure hanno diviso questo mondo».
Riemerge l’orgoglio centrista che ha già spinto altri eredi a provare a rimettere insieme i pezzi della diaspora democristiana. Esperimenti che nella Seconda Repubblica sono sempre falliti o hanno raccolto frutti modesti. L’ultimo in ordine di tempo, e il più significativo, fu quello tentato all’ombra del Governo guidato da Mario Monti e sostenuto da un’ampia coalizione che aveva al proprio interno personaggi politici che si ritrovarono dopo la separazione del ’94, quando dalla Dc nacquero da una parte il Ppi di Mino Martinazzoli e dall’altra il Ccd di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Il sogno durò poco: schiacciato dal nuovo schema a tre - centrosinistra trainato dal Pd, centrodestra berlusconiano e Movimento 5 Stelle - alle politiche del 2013 il polo centrista si fermò al 10,5%. Un flop: appena un terzo rispetto al peggior risultato di sempre della Dc, il 29,7% del 1992, prima della tempesta di Mani Pulite.
Ma anche prima dell’avvento del tripolarismo lo spazio un tempo occupato dallo scudocrociato si era dimostrato asfittico. Eppure di voglia di grande centro è disseminata la cronaca politica degli ultimi anni. Con storie di insuccessi. Un salto indietro al 2001, per esempio, riporta alla memoria Democrazia europea, il partito con cui l’ex segretario della Cisl Sergio D’Antoni voleva scardinare il sistema allora solo bipolare. Una creatura che ebbe anche il sostegno di Giulio Andreotti (oltre che di Pippo Baudo) ma che alle elezioni ottenne appena il 3,5% e solo due senatori eletti. L’anno successivo Democrazia europea confluì nell’Udc, poco dopo D’Antoni passò al centrosinistra.
Morta politicamente, la Democrazia cristiana per la verità sopravvive giuridicamente. Forti di una sentenza della Cassazione del 2010 che stabilì che lo scioglimento decretato da Mino Martinazzoli per far nascere il Ppi era stato irregolare, i superstiti del Consiglio nazionale della Dc si autoconvocarono su iniziativa di Clelio Darida per eleggere un nuovo segretario, Gianni Fontana. Il Congresso successivo (sarebbe stato il XIX) fu invalidato dal giudice del Tribunale di Roma che però ha autorizzato l’ assemblea dei soci lo scorso febbraio, all’hotel Ergife di Roma.
C’è poi la lunga e intricata vicenda della disputa (anche legale) per accaparrarsi le spoglie del glorioso partito. Il simbolo se lo è aggiudicato l’Udc: un risultato che arriva dall’assegnazione avvenuta negli anni ’90 con la scissione del Ppi, quando lo scudocrociato restò nelle mani di Rocco Buttiglione. Da allora Pier Ferdinando Casini ne ha fatto sempre il proprio riferimento in forme via via aggiornate (come quella che vedeva il nome del leader comparire insieme al logo). Ma il simbolo è stato utilizzato in varie forme (più o meno legittimamente) da altre formazioni politiche. Tra le ultime contese finite in tribunale c’è quella promossa da Giuseppe Pizza tra il 2008 e il 2010: il suo ricorso fu poi considerato inammissibile.
Tutto sommato il modo più nobile per omaggiare un passato che per gran parte coincide con la storia della Repubblica è stato quello scelto il 3 febbraio 2015 da Nicola Mancino, Franco Marini, Pierluigi Castagnetti, Gerardo Bianco e Guido Bodrato. Una pattuglia di dc “doc” seduti nella tribuna della Camera per seguire il discorso di insediamento del nuovo Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Uno di loro.
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