scenari globali

Questa Europa deve ricominciare a parlare il linguaggio del potere

di Josep Borrell

4' di lettura

Gli sconvolgimenti geopolitici a cui stiamo assistendo dimostrano quanto sia urgente che l’Ue rifletta sul suo ruolo in un contesto globale sempre più segnato da politiche fondate su puri e semplici rapporti di forza.

Noi europei dobbiamo adeguare le nostre mappe mentali per confrontarci con il mondo quale è, e non quale speravamo che fosse.

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Viviamo in un contesto dominato dalla competizione geostrategica, in cui alcuni leader non esitano a ricorrere alla forza e a usare strumenti economici e di altro tipo come armi. Se non vuole essere schiacciata dalla concorrenza tra Usa e Cina, l’Ue deve riapprendere il linguaggio del potere e riconoscere il proprio ruolo di attore geostrategico di primo piano.

A prima vista può sembrare difficile raccogliere questa sfida: dopo tutto, l’Unione è nata proprio per porre fine a politiche di potere. Ha promosso la pace e lo Stato di diritto separando il potere coercitivo dall’economia, dall’attività normativa e dal potere di persuasione. Eravamo partiti dal principio che multilateralismo, apertura e reciprocità costituissero il modello migliore non solo per il nostro continente, ma anche per il resto del mondo.

Ma le cose sono andate diversamente. Purtroppo ci troviamo di fronte a una realtà ben più dura, in cui sono molti gli attori pronti a ricorrere alla forza per raggiungere i loro obiettivi. Ogni giorno assistiamo all’uso di strumenti economici, flussi di dati, tecnologie e politiche commerciali per fini strategici.

Come si pone l’Europa di fronte a questo nuovo mondo? Molti sostengono che la politica estera dell’Ue sia destinata al fallimento, perché l’Europa è troppo debole e troppo frammentata. È innegabile che se gli Stati membri sono divisi sulle linee d’azione fondamentali, la nostra credibilità collettiva ne risente. Se ci è possibile raggiungere un accordo quando si tratta di esprimere le nostre preoccupazioni, è ben più raro che riusciamo a intenderci su cosa fare per affrontarle. Le regole dell’unanimità rendono arduo raggiungere un consenso su questioni controverse e il rischio di paralisi è sempre in agguato. Gli Stati membri devono capire che ponendo il veto su determinate decisioni indeboliscono non solo l’Unione, ma anche sé stessi. È assurdo affermare di voler rafforzare il ruolo dell’Europa nel mondo senza investire nel progetto europeo.

L’Europa deve evitare di cadere nella rassegnazione e di disperdere le proprie forze. Rassegnarsi significa credere che i problemi globali siano troppo numerosi o troppo distanti per interessare tutti i cittadini europei. Per costruire una cultura strategica comune è indispensabile che in Europa tutti siano consapevoli del fatto che le minacce alla sicurezza sono inscindibili. Pensare che la situazione della Libia e del Sahel interessi unicamente i Paesi del Mediterraneo è assurdo quanto ritenere che la sicurezza dei Paesi baltici riguardi unicamente l’Europa orientale.

Disperdere le proprie forze è voler intervenire su tutti i fronti, esprimendo preoccupazione o dando prova di buona volontà, oltre a erogare finanziamenti umanitari o aiuti alla ricostruzione. Come se le grandi potenze avessero il diritto di combinare disastri e l’Ue fosse per sua natura tenuta a porvi rimedio. Dobbiamo sapere esattamente quali sono i nostri obiettivi politici e le capacità di cui disponiamo.

Politica commerciale e di investimento, potere finanziario, presenza diplomatica, capacità normative e strumenti rafforzati di sicurezza e di difesa sono soltanto alcune delle leve di influenza di cui l’Europa dispone. Il problema del Vecchio continente non è la mancanza di potere, quanto piuttosto della volontà politica di unire le forze per agire nel modo più coerente ed incisivo.

La diplomazia non può avere successo se non è sostenuta da azioni concrete. Affinché la fragile tregua conclusa in Libia possa reggere dobbiamo sostenere l’embargo sulle armi. Se vogliamo che l’accordo sul nucleare con l’Iran sopravviva dobbiamo fare in modo che Teheran sia ricompensata se torna a rispettarlo pienamente. Se vogliamo che i Balcani occidentali compiano un percorso di riconciliazione e di riforma dobbiamo offrire un processo credibile di adesione all’Ue che assicuri benefici sempre maggiori. Se vogliamo la pace tra israeliani e palestinesi dobbiamo batterci per una soluzione negoziata, concordata da tutte le parti sulla base del diritto internazionale. Se non vogliamo che la regione africana del Sahel precipiti nell’anarchia e nell’insicurezza dobbiamo intensificare il nostro impegno. Questi sono tutti esempi di situazioni in cui gli Stati membri sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità.

Oltre alla soluzione delle crisi nei Paesi vicini all’Europa esistono altre due priorità fondamentali.

In primo luogo, l’Ue deve dotarsi di una nuova strategia integrata per e con l’Africa, un continente a noi così vicino. Dobbiamo pensare in grande e mettere in campo le nostre politiche in materia di commercio, innovazione, cambiamenti climatici, cyberspazio, sicurezza, investimenti e migrazione se vogliamo dimostrare con fatti concreti che facciamo sul serio quando affermiamo di essere partner a pari titolo.

In secondo luogo, dobbiamo impegnarci seriamente per definire strategie credibili che ci consentano di trattare con i nostri interlocutori strategici a livello mondiale: Stati Uniti, Cina e Russia. Benché diversi sotto molti punti di vista, tutti e tre i Paesi praticano l’issue linkage e la power politics. La nostra risposta dovrebbe essere differenziata e modulata, ma chiara e pronta a difendere i valori dell’Unione, i suoi interessi e i princìpi concordati a livello internazionale.

Nulla di tutto questo sarà facile e non tutti gli obiettivi potranno essere raggiunti quest’anno. Ma è il modo in cui viene impostata che determina il successo o il fallimento di qualsiasi lotta politica. Il 2020 dovrebbe segnare una tappa decisiva per l’Europa, chiamata a definire una strategia geopolitica che le consenta di ritrovare la propria identità.

Josep Borrell

è l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri

e la politica di sicurezza

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