Qui nasce l’elettrica del futuro
A Zwickau è stato realizzato il più ampio progetto di training e formazione nella storia dell'automobile: già 8mila dipendenti sono stati preparati alla produzione di veicoli a nuova propulsione e al lavoro con tecnologie ad alto voltaggio
di Mario Cianflone
4' di lettura
A Zwickau, in Germania, in quella Sassonia dove si accese gran parte del movimento di riunificazione tedesca, c'è una fabbrica di automobili speciale. Che non sia un normale car plant ci è subito chiaro, appena entrati. E non solo per l'enorme numero di robot. È, questo, lo stabilimento dove nascono automobili “alla spina” che inaugurano la Terza Era di Volkswagen, dopo lo storico Maggiolino e la Golf, che nel 1974 salvò la casa di Wolfsburg dal fallimento e la fece diventare il colosso di oggi. Adesso la grande sfida è superare l'emergenza shutdown, che ha fermato tutti gli stabilimenti, incluso questo.
Il gruppo, vissuto il Dieselgate, ha affrontato la trasformazione energetica con un piano di investimenti che, per tutti i suoi marchi, sfiora gli 80 miliardi di euro. Al cuore della rivoluzione del brand Volkswagen ci sono le nuove “ID.” e sono “nativamente” elettriche. Che cosa vuol dire? Semplice: si tratta di automobili sviluppate full electric fin dall'origine. Non sono vetture con propulsori a combustione interna modificate per andare a batteria, ma nascono su una piattaforma specifica creata ad hoc. Piattaforma che, nel caso della gamma ID. (e di altri modelli futuri), si chiama, appunto, MEB, ovvero Modularer Elektrobaukasten: i tedeschi, infatti, sono orgogliosi della loro lingua e le sigle sono rigorosamente teutoniche, altrimenti la loro tecnologia avrebbe un sapore vagamente “techno cool” californiano. In questo caso, però, non siamo nel campo delle mode tecnologiche, ma dell'ingegneria, e MEB è, da questo punto di vista, un vero colpo di genio: permette di costruire auto diverse, per tipologia, stile e identità di marca utilizzando una “base” modulare comune. Il concetto è quello della famosa architettura MQB (Modularer Querbaukasten), quella piattaforma che – costata una sessantina di miliardi di euro – è il cuore del vantaggio competitivo industriale del gruppo Vw, dal momento che è la madre di quasi tutte le autovetture che produce. Il concetto di modularità va oltre il singolo prodotto, perché diventa un sistema di produzione, un modello ideale di Industry 4.0 replicabile ovunque nel mondo. Ed è un toolkit pensato per ottimizzare la produzione di auto elettriche, che è bene ricordarlo sono molto più semplici di quelle tradizionali: meno pezzi, meno lavoro.
Quella di Zwickau è la prima fabbrica per le auto basate su MEB e sta producendo il primo modello: si chiama ID.3 ed è una berlina cinque porte delle dimensioni della Golf, ma a zero emissioni. Si tratta della macchina che, visto un prezzo di listino intorno ai 30mila euro, dovrebbe rendere accessibile l'elettrico su ampia scala, realizzando la terza rivoluzione del marchio di cui si parlava all'inizio. Coronavirus permettendo, dopo la ID.3, infatti, arriverà anche il secondo modello: un suv che – con grande sforzo di fantasia – è stato battezzato ID.4. L'impianto di Zwickau è stato totalmente reiventato per i veicoli elettrici, e questo è uno dei capitoli più corposi di un piano industriale da oltre 40 miliardi spesi per l'elettrificazione. Storica cittadina di commerci, centro minerario per l'estrazione del carbone, Zwickau è un luogo simbolo per l'industria automobilistica tedesca. L'avvio è avvenuto nel 1904, quando August Horch fondò la prima fabbrica di auto, che cinque anni dopo divenne Audi. Zwickau, terminata la Seconda guerra mondiale, rimase nell'area controllata dai sovietici, e lì furono prodotte – fino al 1991 – le macchine simbolo della DDR: le Trabant. Con la riunificazione, cambiò tutto: la fabbrica iniziò a sfornare le Volkswagen Polo.
La svolta della rivoluzione elettrica prosegue, dunque, questa storia: un salto quantico dai fumosi, terrificanti due tempi delle “Trabby”. Un cambiamento, questo, che sa di robot e di futuro, di macchine e di uomini. I lavori di ammodernamento sono iniziati nel 2018 e lo scorso 4 novembre è iniziata produzione della ID.3. Quando la fabbrica riaprirà a pieno ritmo, ogni anno potranno essere prodotti fino a 330mila unità, realizzando sei modelli basati sulla piattaforma MEB per tre marchi del gruppo (Volkswagen, Audi e Seat) e dal 2023 anche con l'alleato Ford (gli americani che hanno inventato la catena di montaggio, per sfidare Tesla, si sono rivolti ai tedeschi).
Le linee, carbon neutral, sono deserte. Lungo le aree dedicate all'assemblaggio c'è un silenzio irreale. Circa 1.700 robot, sistemi di trasporto autonomi e processi di produzione completamente automatizzati. L'assemblaggio delle scocche, rigorosamente in acciaio, è opera dei robot saldatori. È curioso: non ci sono moderne saldatrici laser, ma tradizionali teste ad arco montate sui bracci automatizzati. Questo perché gli ingegneri di Volkswagen hanno scoperto che il laser consuma più energia, mentre tutta la fabbrica è pensata per essere “green”. C'è una cosa che stupisce, osservando il processo produttivo: non ci sono più i binari della catena di montaggio, le scocche assemblate e verniciate scorrono lungo la linea su piattaforme mobili indipendenti, cioè robot autonomi, che si muovono con occhi digitali lungo il percorso che dal cosiddetto marriage, il processo di unione tra carrozzeria ed elementi elettromeccanici (batteria, motore elettrico elettronica di controllo e sospensioni) arriva all'auto finita, passando da isole dove vengono montati plancia, interni, sedili, rivestimenti. Sono queste le fasi in cui il lavoro dei robot ha bisogno degli uomini, perché le operazioni di assemblaggio di parti come la plancia o l'imperiale sono fatte a mano.
In Volkswagen, per tradizione, si punta molto sulla valorizzazione delle risorse umane. A Zwickau è stato realizzato il più ampio progetto di training e formazione nella storia dell'automobile: 8mila dipendenti sono stati preparati alla produzione di veicoli elettrici e al lavoro con tecnologie ad alto voltaggio. Entro la fine del 2020 (questa la previsione, nel momento in cui stiamo scrivendo, ndr), il personale avrà completato in totale 13mila giorni di formazione, assicurando così il futuro dei posti di lavoro in uno stabilimento che ha sposato la rivoluzione della green industry.
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