Quirinale, le mosse di Draghi e le divisioni tra Pd e M5s
Il presidente del Consiglio ha incontrato il capo dello Stato Sergio Mattarella. Poi un faccia a faccia con il presidente pentastellato della Camera Roberto Fico e infine l’incontro con Marta Cartabia
di Barbara Fiammeri e Emilia Patta
I punti chiave
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A rompere l’apparente stallo di una giornata ancora incentrata sulla conferma o meno della candidatura di Silvio Berlusconi, e mentre Matteo Salvini continua a lavorare al suo piano B per una candidatura di area centrodestra, ieri, martedì 18 gennaio, è stato il premier Mario Draghi.
Prima l’incontro con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, a seguire il faccia a faccia con il presidente pentastellato della Camera Roberto Fico e infine l’incontro con Marta Cartabia, ossia uno dei nomi che tornano costanti alla ribalta come prossima presidente del Consiglio nel caso di un trasloco di Draghi al Quirinale.
Doppio endorsement dagli Usa
Come avviene spesso quando si tratta di incontri istituzionali a prevalere è il riserbo. A maggior ragione ora, a pochi giorni dall’avvio delle votazioni per il nuovo Capo dello Stato. E proprio nel giorno in cui a Palazzo Chigi si incassa un doppio endorsement dagli Usa: da una parte l’amministrazione Usa che, a quanto riporta l’Adnkronos, fa filtrare che tra Draghi e Biden «c’è grandissima sintonia, e l’incarico al Quirinale dura sette anni»; dall’altra il New York Times che definisce il trasloco di Draghi al Quirinale «il momento d’oro dell’Italia da lui inaugurato».
I colloqui con Mattarella e Fico
Tra i temi affrontati nei colloqui con Mattarella e Fico (lo stesso presidente della Camera ne ha parlato a sua volta con Mattarella) c’è stato anche quello di garantire il voto a quei grandi elettori che non potranno essere in Aula causa Covid, tema molto caro al centrodestra e soprattutto all’opposizione di Fratelli d’Italia: l’eventuale partecipazione ha bisogno di una norma ad hoc per derogare alla legge generale oppure, strada più semplice, il via libera della presidenza della Camera a una modalità di voto diversa.
Palazzo Chigi ovviamente non prende posizione, essendo questo - si fa notare - «un tema di carattere esclusivamente parlamentare».
Berlusconi resta ottimista
Intanto Berlusconi da Arcore lascia filtrare «ottimismo» e fa sapere che non deluderà «chi mi ha dato fiducia». Il messaggio è: vado avanti fino in fondo, nonostante Vittorio Sgarbi abbia ammesso ieri che non ci sono i numeri invitandolo a cercare un altro nome.
Il Cavaliere però vuole arrivare in Aula, ma potrebbe accontentarsi di fermarsi alla prima votazione. Matteo Salvini e Giorgia Meloni attendono l’anziano leader al varco: è confermato per domani il nuovo vertice del centrodestra nel quale Berlusconi dovrà dire agli alleati se ha o no i numeri.
Il sospetto del leader della Lega resta lo stesso: che il Cavaliere all’ultimo momento faccia il passo indietro per spianare la strada a Draghi, sostenuto dal leader del Pd Enrico Letta e da molti ministri, tra cui il pentastellato Luigi Di Maio, e non sgradito a Meloni a patto che si vada alle elezioni anticipate. Sospetto rafforzato ieri dalle parole del coordinatore azzurro Antonio Tajani, il quale ha tenuto a far sapere che «nessuno dentro Forza Italia pensa di lasciare il governo», anche nel caso in cui Mario Draghi diventi presidente della Repubblica.
Le mosse di Salvini
Di certo Salvini non intende lasciare il ruolo di king maker ad altri: ribadisce che nei prossimi giorni, se dovesse essere conclamato il fallimento dell’«operazione scoiattolo» su Berlusconi, ci sarà un nome alternativo.
E nella rosa che il leader della Lega ha intenzione di sottoporre agli altri partiti ci sono certamente Marcello Pera e Elisabetta Casellati, ma anche Franco Frattini e Letizia Moratti. E anche Meloni fa sapere che FdI ha le sue proposte: «Da giovedì in poi vediamoci tutti i giorni». Ma se davvero Salvini vorrà arrivare a un accordo più ampio del perimetro del centrodestra (sulla carta ci sono solo 451 su 505), non è da escludere che nella rosa faccia capolino anche il nome dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, votato allora dal centrodestra ed eletto senatore nel 2018 nelle liste del Pd di Matteo Renzi.
L’ipotesi Casini
Un’ipotesi, quella di Casini (cosi come quella di Frattini), che oltre a mettere in difficoltà il Pd potrebbe trovare consensi anche nei 5 Stelle. Giuseppe Conte, che continua ad avere molte resistenze sull’ipotesi Draghi anche interpretando il sentimento di molti parlamentari che temono il ritorno alla urne, non chiude la porta.
E anche Di Maio, che invece di Draghi è uno dei maggiori sponsor nel governo assieme al dem Lorenzo Guerini, non si metterebbe di traverso e anzi fa sapere che con Casini i rapporti sono ottimi. Il leader del Pd, assieme al numero uno di Leu Roberto Speranza, cercherà di spingere anche Conte a sostenere l’eventuale candidatura di Draghi.
Ma il presidente del M5s ha ora una carta in più per resistere («nessun veto su Draghi, ma non è la nostra prima scelta», ripete): la nuova indagine che coinvolge Beppe Grillo mette fuori gioco il fondatore e garante del movimento, da sempre uno degli sponsor di Draghi.
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