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Rai, «pax» in Cda sui piani di produzione ma futuro sul filo per l’ad Fuortes

Via libera con cinque sì ai piani di produzione in Cda Rai. È andata meglio rispetto ai 3 sì del budget. Ma se i numeri indicano un ad Fuortes rafforzato, dalla questione appalti al piano industriale il quadro resta in movimento

di Andrea Biondi

(Maria Laura Antonelli / AGF)

4' di lettura

A conti fatti sono i numeri a descrivere algebricamente il paradosso. Perché Carlo Fuortes – l’ad Rai prima dato per probabile in partenza, poi per certo all’approdo al Maggio Fiorentino (ma con tanto di smentita urbi et orbi) e ancora oggi ventilato in partenza chissà, visto che in settimana potrebbe vedere la premier Giorgia Meloni (ma non è mica detto che, nell’eventualità, si parli della sua partenza da Viale Mazzini) – esce con numeri migliori di quelli del precedente Cda su budget. Tecnicamente sarebbe rafforzato. Anche se usare certi termini, trattandosi di Rai, è onestamente ardito.

Cinque sì in Cda (contro i 3 del budget)

I fatti innanzitutto. Con cinque sì e due no il Consiglio d’amministrazione della Rai ha approvato i piani di produzione e trasmissione. Un momento chiave per l’operatività della Tv pubblica. Oltre alla presidente Rai Marinella Soldi e all’ad Carlo Fuortes hanno votato a favore anche Francesca Bria (in quota Pd), Simona Agnes (in quota Forza Italia) e Igor De Biasio (in quota Lega). Voto contrario, invece, da Alessandro Di Majo (M5S) e Riccardo Laganà (rappresentante dei dipendenti). Il 30 gennaio, in occasione della votazione sul budget, i sì furono 3, in arrivo da ad, presidente e Francesca Bria. Voto contrario per Alessandro Di Majo e astensione per Riccardo Laganà mentre non parteciparono al voto Igor de Biasio, in quota Lega, e Simona Agnes, in quota Forza Italia.

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I numeri e la politica in Rai

Due voti guadagnati quindi, verrebbe da dire. Fin qui la logica dei numeri. Ma a Viale Mazzini non ci si misura solo con i numeri così come sarebbe semplicistico (anche se tecnicamente giusto) analizzare la Rai come un’azienda. Nessuno può negare (tranne i vari amministratori delegati che nelle improvvide interviste di esordio, come accaduto anche a Fuortes, si affrettano a dire che non è così) che la politica non dia le carte a Viale Mazzini. Del resto la Rai è pur sempre una Spa controllata per il 99,6% dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con l’altro 0,4% alla Siae. C’è di mezzo la concessione di un servizio pubblico, la nomina di 4 componenti avviene da Camera e Senato e la Commissione bicamerale di Vigilanza ha poteri, fra i quali il gradimento con due terzi dei voti nella nomina di presidente e ad.

Il nodo appalti

Nel cammino futuro dell’ad i motivi per inciampare non mancano. A guardar bene lo stesso ultimo Cda ne contiene. «Ho ritenuto di dover esprimere voto contrario a causa della rilevante mole di programmi in appalto totale, parziale e acquisti in particolare nel prime time fino a percentuali, a mio avviso, a medio e lungo termine industrialmente ed economicamente insostenibili», ha sintetizzato il consigliere Laganà. Questo per gli appalti, con focus in particolare sul programma “Belve” condotto da Francesca Fagnani che, peraltro, sugli ascolti sta andando così e così. È a questo programma che si riferisce nella sua nota Laganà quando parla di «recente esternalizzazione di una produzione fino a ieri realizzata internamente, il ricorso all’appalto totale molto spesso determina un significativo incremento dei costi a puntata, oltre a rischi di criticità e disservizi produttivi ed editoriali».

Il faro Agcom su Sanremo e pubblicità occulta

C’è poi tutto il caso Sanremo, con la decisione attesa in casa Agcom sull’apertura di un’istruttoria per verificare le eventuali condotte censurabili (e sanzionabili) riguardanti la vetrina data a Instagram durante il Festival e qualche caso di pubblicità occulta. L’Autorità dovrebbe parlarne nel suo Consiglio dell’8 marzo, prima del Cda Rai del prossimo 16 marzo. Ultima, ma non per importanza, c’è la deadline del piano industriale. Che arriva in un momento in cui in Rai e fuori da Viale Mazzini ci si interroga sul futuro del canone (resterà in bolletta?) e sulla tenuta dei conti (peggioramento della posizione finanziaria netta a -650 milioni). Questi ultimi peggiorati nell’ultimo anno anche a causa di rincaro dell’energia e dell’inflazione.

L’effetto inflazione sul contratto Rai-Rai Way

In quest’ultimo caso, a quanto risulta al Sole 24 Ore, il rincaro generalizzato dei prezzi ha portato anche a un maggior esborso che si attesterebbe attorno ai 10-11 milioni. Soldi che Rai ha dovuto versare alla partecipata Rai Way per l’utilizzo delle antenne. Il tutto legato a un contratto di servizio all’interno del quale si stabilisce un corrispettivo comprensivo di indicizzazione all’inflazione. Se è andata bene negli anni passati, per il 2022 proprio no. Chissà, è l’interrogativo, se in Rai avrebbero potuto muoversi prima per ricontrattare. È anche vero però che la quotata Rai Way avrebbe potuto mettere sul piatto i rincari dell’energia. Esito della contesa per nulla scontato.

Sismografo a riposo (per ora) a Viale Mazzini

A ogni modo, i motivi per cambiare la direzione di marcia sul settimo piano di Viale Mazzini non cambiano. Certo è che i numeri danno ora il segnale di una pax che a Palazzo Chigi evidentemente hanno voluto per ora confermare. La Rai è senz’altro un tema, anche perché in Cda non c’è nessun esponente di area FdI che pure è il partito della premier Meloni. È difficile immaginare che tutto possa restare così fino alla scadenza del Cda al 2024 (con ogni probabilità alle direzioni qualcosa può cambiare come al Tg1 dove si parla sempre con insistenza dell’arrivo di Gian Marco Chiocci da AdnKronos). Ma il sismografo è per il momento a riposo.

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