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Rallenta la caccia al virus: in un anno tagliati 3.500 tracciatori

Un anno fa le Regioni avevano in media circa tre tracciatori ogni 10mila abitanti, anche se con differenze eclatanti. Oggi arrivano con difficoltà a due

di Marzio Bartoloni

(Gorodenkoff - stock.adobe.com)

3' di lettura

È da sempre la prima trincea anche in questa quarta ondata. Un avamposto dove i “cacciatori del virus” lavorano per scovare i contagi in quella attività di indagine che ormai tutti conoscono con il termine coniato dagli epidemiologi di «contact tracing».

Peccato che dopo le debacle delle prime ondate, quando il tracciamento saltò quasi subito, invece di essere rafforzata questa prima trincea sia stata depotenziata: in un anno infatti sono spariti nel nulla oltre 3500 “cacciatori di virus”.

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A conti fatti circa un quarto del totale del personale che dalle Regioni viene destinato a questa attività dopo 11 mesi non risulta infatti più operativo: se a inizio gennaio del 2021 si contavano 14.920 tracciatori, quasi un anno dopo, a inizio dicembre, sono diventati 11.352, in pratica 3.568 in meno.

Tracciamento indebolito

Una emorragia di personale importante e che sicuramente rende ancora più difficile la caccia al virus, visto che l’attività di contact tracing consiste non solo nell’effettuare i tamponi, ma anche nel tracciare tutti i contatti stretti di un contagiato almeno nelle 48 ore precedenti. Si tratta di un lavoro fondamentale e assolutamente non irrilevante. Basti pensare che per ogni positivo vanno rintracciati in media dai 10 ai 15 contatti (le persone che si incontrano o si frequentano in media in due giorni) e se oggi abbiamo 15-16mila nuovi positivi al giorno significa che bisogna “rincorrere” decine di migliaia di persone per invitarle alla quarantena e a fare il tampone.

Il fronte scolastico

Per non parlare del fronte scuola, dove il protocollo che le Regioni volevano congelare perché troppo impegnativo prevede che in caso di positivo in classe si facciano tamponi e tracciamento subito per tutti i compagni per poi ripetere la stessa procedura - tamponi per tutti - dopo cinque giorni.

Un’impresa quasi impossibile, che ha costretto il premier Draghi a chiedere aiuto alle strutture militari del commissario Figliuolo per non rinunciare al protocollo. Si vedrà se basterà a evitare la Dad a tante scuole. Ma chi sono i tracciatori e dove lavorano?

Chi sono i tracciatori

Il personale addetto al contact tracing è impiegato nei Dipartimenti di prevenzione delle Asl, che sono diventati strutture strategiche nella pandemia. A misurare Regione per Regione la capacità di «garantire adeguate risorse per contact tracing, isolamento e quarantena» sono i report stilati settimanalmente dall’Istituto superiore di Sanità che decidono anche i colori e le retrocessioni delle Regioni verso zone con più restrizioni. Una sfilza di numeri con i quali si fotografa come avanza il virus e come si prova ad arginarlo.

Tra questi ci sono appunto quelli relativi al personale messo in pista per il tracciamento. Si scopre così che dal report dell’Iss pubblicato l’8 gennaio (11 mesi fa) con dati aggiornati al 5 gennaio le Regioni risultavano molto più attrezzate di quanto lo siano oggi, in base ai dati dell’ultimo report del 3 dicembre (dati al 1 dicembre).

Il confronto con 12 mesi fa

I numeri dicono infatti che le Regioni quasi un anno fa contavano in media su circa 3 tracciatori ogni 10mila abitanti, anche se con differenze eclatanti, e oggi arrivano con difficoltà a 2. Facendo due conti in base a queste tabelle e agli abitanti si scopre che praticamente tutte le Regioni hanno tagliato i tracciatori (con l’eccezione di Lazio, Sicilia e Trento) e ben otto in un anno hanno addirittura dimezzato il loro personale. Si tratta di Emilia, Liguria, Lombardia, Bolzano, Puglia, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta.

La cosa è ancora più grave se si aggiunge il fatto che a ottobre 2020, in piena seconda ondata, la Protezione civile lanciò un bando per assumere rapidamente 2mila nuovi tracciatori. Dopo oltre un anno la domanda è scontata: dove sono finiti?

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