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Raqqa è libera, in Siria si apre la partita per il dopo Isis

di Roberto Bongiorni

Siria: Raqqa è libera. L’annuncio della coalizione sostenuta dagli Usa

5' di lettura

Non c’è più la bandiera nera, simbolo di morte e fanatismo. Nel grande stadio di Raqqa, trasformato dai jihadisti dell’Isis nel teatro delle loro brutali esecuzioni, ora sventola una bandiera di colore giallo con il simbolo delle forze democratiche siriane (Sdf), una coalizione volutamente ibrida (arabi e curdi e in minoranza cristiani) in cui le milizie curdo siriane dello Ypg rappresentato la spina dorsale. L’ultima grande roccaforte dello Stato islamico, il cuore del Califfato, il luogo da dove erano stati pianificati molti degli attentati in Medio Oriente e in Europa, è stata liberata questa mattina dagli ultimi jihadisti. In verità si combatte in alcune aree isolate (meno del 10% della città)e, dove sono asserragliati le ultime decine di irriducibil. Ma le loro ore sono contate.

Cade Raqqa, la capitale dello Stato islamico

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Il ruolo decisivo dei curdi
Dopo l’Osservatorio per i diritti umani (Ondus), sono state proprio le stesse milizie curde, protagoniste della battaglia, a confermare la notizia. Perché il contributo decisivo nell’espugnare questa città, distesa su una piana desertica della Siria centro orientale, sono state proprio le Syrian Democratic Forces (Sdf). Una coalizione di milizie volutamente ibrida, composta da arabi sunniti, ma soprattutto dai miliziani curdi sunniti delle unità Ypg. Grazie all’appoggio dell’aviazione americana, l’avanzata delle Sdf, sostenute dalla coalizione internazionale contro l’Isis, è sta più rapida del previsto.

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Conquistata dall’Isis nel gennaio del 2014, l’offensiva per liberare Raqqa era scattata lo scorso novembre quando le Sds iniziarono a conquistare i villaggi circostanti per poi stringere l’assedio. Ma l’operazione contro la città aveva preso il via appena tre mesi fa.

Non è stata indolore. In un anno di campagna militare oltre 3mila persone, tra cui più di mille civili, sono state uccise, molti anche dai bombardamenti dal cielo in quelli che ormai sono definiti, spesso erroneamente, “danni collaterali.”
Negli ultimi giorni, centinaia di jihadisti si sono consegnati grazie ad un accordo raggiunto all’ultimo, ma molti altri – tra cui diversi foreign fighters – sono riusciti a fuggire e a far perdere le loro tracce.

Cosa rimane in mano all’Isis
Le ultime aree da liberare sono i villaggi iracheni di Rawa e Qaim, la città siriana di Deir Ezzor, prossima a cadere, e nei suoi dintorni una stricia della valle del fiume Eufrate. Qui sarà presumibilmente combattuta l’ultima battaglia che metterà ufficialmente la parola fine al feroce regno dello Stato islamico.

Nei suoi tre anni e mezzo di vita, sotto la guida del “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, i jihadisti avevano conquistato un’area a cavallo tra la Siria centro orientale e l’Iraq centro occidentale estesa quanto il Belgio. Nei momenti più floridi, tra il 2014, e il 2015, l’organizzazione terrorista riusciva ad incassare un miliardo di dollari l’anno attraverso la vendita di petrolio di contrabbando ed altri affari illeciti. Oltre alle tasse proibitive estorte aglio otto milioni di persone che vivevano nel Califfato.
Ora lo Stato islamico non ha più uno Stato. Ma l’Isis non è morto. La sua metamorfosi lo riporterà alla struttura che aveva alle origini: quando era uno spietato gruppo clandestino capace di destabilizzare l’Iraq con una strisciante guerriglia a suon di attentati kamikaze, imboscate e ordigni esplosivi.

Chi governerà Raqqa
L’Isis lascerà comunque la sua traccia. Perché ha sconvolto i confini di Siria e Iraq ed ora si apre un periodo gravido di incognite.

Come verranno ridisegnati questi confini, e chi si prenderà le zone e le città – inclusi i pozzi petroliferi – un tempo controllati dall’Isis?
Se gli iracheni sono determinati a riprendersi tutte le aree che i peshmerga curdi avevano strappato all’Isis , e lo stanno già facendo con successo, le Ypg siriane probabilmente vorranno estendere la loro zona di influenza - da oltre un anno una sorta di regione autonoma lungo il confine con la Turchia - forse fino a Raqqa.

In realtà lo scorso aprile le Sdf avevano reso noto il loro piano; creare «consiglio civile» formato da membri locali (Raqqa è una cittadina a maggioranza arabo-sunnita) assistiti da una polizia locale e possibilmente da 3mila soldati americani. Come aveva accennato il generale Joseph Votel, quando aveva detto che queste truppe sarebbero rimaste a Raqqa a lungo per aiutare «gli alleati degli americani» a stabilizzare la regione e a mantenere la pace. In altre parole, le truppe Usa potrebbero sostenere le forze di opposizione, contribuendo a creare una regione indipendente in Siria. Dietro le quinte,volendo, i curdi siriani eserciterebbero comunque una certa influenza. È uno scenario inaccettabile per il regime di Damasco, sostenuto da Russia, Iran e dagli Hezbollah libanesi.

L’ultima città dell’Isis: Deir Ezzor
Lo stesso dicasi di Deir Ezzor, città della Siria orientale di 200mila abitanti nei cui dintorni vi sono i maggiori giacimenti petroliferi del Paese. È l’ultimo bastione rimasto in mano all’Isis. Ma la sua fine è prossima. Gli Stati Uniti sostengono i combattenti curdi, stanziati pochi chilometri a nord. La Russia, invece, appoggia l’esercito del presidente siriano Bashar al -Assad. Nel mezzo gli ultimi scampoli dei jihadisti. Mosca èdeterminata ad appoggiare l’esercito di Damasco a riappropriarsi il prima possibile di quest’area strategica fino al confine con l’Iraq.

Lo “pseudo Stato” dei curdi siriani
E arriviamo alla delicata questione curda. Poco dopo lo scoppio della guerra civile, i curdi siriani sono riusciti a creare una loro amministrazione nelle zone curde a ridosso del confine turco. I loro successi militari contro l’Isis gli hanno permesso di estendere il territorio a quasi un terzo della Siria. Ora il loro partito di riferimento è il Pyd,vicino ai curdi del movimento Pkk (attivi in Tuchia, dove combattono contro il Governo di Ankara, e inseriti da molti Paesi nella lista dei gruppi terroristi ).Il Pyd sarebbe orientato a chiedere una sorta di regione autonoma inserita in un “sistema federale”. Il peggior scenario possibile per la Turchia, ma che non sembra gradire nemmeno Damasco, per quanto dal 2011 non ha praticamente ingaggiato scontri con i curdi siriani. Resta poi aperta la questione della regione di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli.


Insomma. Una volta venuto meno la guerra contro l’Isis, che aveva agito da collante unendo movimenti con interessi diametralmente opposti, ma anche potenze mondiali del calibro di Stati Uniti e Russia, si aprirà una fase di grandi incertezze.
Già lo si vede in Iraq, dove l'esercito di Baghdad si è ripreso con la forza la città contesa di Kirkuk e i suoi grandi giacimenti petroliferi, in mano ai peshmerga curdi dal luglio 2014, la città di Singar, roccaforte degli yazidi, ed altre zone contese.
La nuova mappa di questa martoriata area del Medio Oriente deve essere ancora ridisegnata. A quale prezzo, solo il tempo ce lo dirà.

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