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Rating, tre scogli superati: ma l’Italia resta sotto il faro delle agenzie

Dopo S&P e Dbrs anche Fitch conferma il rating all’Italia. Venerdì è attesa Moody’s, ma il mercato non teme un taglio. Ma gli esami non sono finiti

di Morya Longo

(vxnaghiyev - stock.adobe.com)

3' di lettura

Venerdì 20 ottobre: S&P Global Ratings conferma all’Italia il giudizio “BBB” con prospettive stabili. Venerdì 27 ottobre: Dbrs lascia invariato il voto “BBB high” con trend stabile. Venerdì 10 novembre: l’agenzia Fitch mantiene il rating “BBB” con outlook stabile. Manca solo l’ultimo scoglio, venerdì prossimo con Moody’s, e poi per l’Italia sarà passata la stagione delle pagelle. E sebbene proprio il prossimo appuntamento sia quello più delicato, perché Moody’s valuta il nostro Paese nell’ultimo gradino dei rating d’investimento con prospettive negative, sul mercato c’è una certa tranquillità: praticamente nessuno si aspetta un declassamento. Perché le condizioni che l’agenzia aveva posto per l’eventuale declassamento, quando aveva portato a «negative» le prospettive sul rating, non si sono ad ora verificate.

Per questo lo spread tra i BTp italiani e il Bund tedesco viaggia tranquillo e venerdì ha chiuso a 186 punti base. Ma questo non significa che sia tutto tranquillo: se per caso Moody’s dovesse invece decidere di tagliare il giudizio sull’Italia, mandandolo in territorio «spazzatura» (tecnicamente «speculativo»), Barclays prevede che lo spread BTp-Bund possa salire a 250 punti base. E poi, se anche questo non accadesse, comunque gli “esami” per l’Italia non finirebbero certo venerdì prossimo: i conti pubblici, e soprattutto il deficit e la traiettoria del debito, resteranno sorvegliati speciali sui mercati. Basterà poco, vista la delicatezza del tema, per far deragliare il treno dei nostri titoli di Stato. Insomma: superare lo scoglio delle agenzie di rating è una buona cosa, ma la guerra ancora non è vinta.

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La voce delle agenzie

Chi mettendo l’accento su una tematica e chi su un’altra, tutte le agenzie di rating che si sono pronunciate fino ad ora hanno più o meno giustificato la stabilità del giudizio sull’Italia con parole simili. Tutti sanno che la crescita economica rallenta, anche se nessuna agenzia prevede una recessione in Italia. Tutti sanno che il deficit e il debito, in un contesto di bassa crescia e tassi elevati, peggiorano rispetto alle previsioni di non molti mesi fa. Ma tutti sottolineano che i punti di forza dell’economia italiana e il sostegno che arriva dal Recovery Fund europeo saranno in grado di mantenere sostenibile il debito.

«Le prospettive stabili al rating derivano da due piatti della bilancia - scrive per esempio S&P -: da un lato il consolidamento di bilancio più lento del previsto, dall’altro il sostegno che arriva dai fondi europei». Parole simili per Dbrs: «La stabilità del rating deriva dal fatto che il sostegno in arrivo dall’implementazione del Pnrr nei prossimi anni andrà a mitigare la frenata economica dovuta ai tassi più elevati». È questo che tiene l’Italia con un rating “BBB”, sebbene il debito al 140% del Pil sia - ricorda Fitch - ben più alto del 54,9% medio dei Paesi con analoga valutazione.

Condizioni per il declassamento

Come detto, gli esami non sono finiti. Tutte le agenzie mettono nero su bianco gli eventi che le spingerebbero a tagliare il giudizio sull’Italia. Una minore fiducia sulla capacità dell’Italia di implementare gli aggiustamenti sul bilancio primario necessari per contenere i rischi finanziari, in un contesto di elevato debito, sarebbe per Fitch un motivo per tagliare il rating. Anche Dbrs mette «un ulteriore rilassamento fiscale» tra le possibili cause che giustificherebbero un declassamento. Come anche una crescita inferiore alle attese, che peggiorerebbe l’andamento del rapporto debito/Pil, e un sensibile aumento dei costi di finanziamento. Stesse considerazioni per S&P, che sottolinea anche un ulteriore rischio per il rating: il caso in cui le riforme strutturali, soprattutto quelle legate all’ottenimento dei fondi europei, venissero implementate «solo parzialmente».

L’imperativo: crescere

Il tema chiave per tutte le agenzie, e non solo, è uno: la crescita economica. Solo la crescita può davvero tenere deficit e debito nella giusta traiettoria. Barclays si è messa a stimare tutte le possibili combinazioni tra Pil e deficit, per capire fino a quando il debito italiano sarà sostenibile. Ebbene: con un surplus primario (cioè al netto della spesa per interessi) pari all’1% del Pil e una crescita nominale del Pil (cioè sommata all’effetto inflazione) di circa il 3%, il rapporto tra debito e Pil resterebbe stabile. «Ma questo scenario - scrivono gli analisti di Barclays - «richiederebbe un certo consolidamento fiscale rispetto allo status quo».

Dunque, non sarebbe garantito ugualmente. Certo, se la crescita fosse maggiore, la situazione migliorerebbe. Ma qui si torna al punto dolente, sottolineato anche da alcune agenzie di rating: un debito pubblico così elevato lega le mani al Governo, che ha poco spazio di manovra per fare politiche espansive. La strada, insomma, è stretta. L’Italia, attualmente, ha un alleato prezioso (ma anche volubile): la fiducia del mercato.

Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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