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Recessione sì o no? Ecco perché i titoli di Stato Usa lanciano messaggi strabici

La curva dei tassi Usa, che era pesantemente negativa, torna quasi piatta: ma gli analisti si dividono sull’interpretazione da dare a questo fenomeno

di Morya Longo

(Engdao - stock.adobe.com)

3' di lettura

L’espressione è trita e ritrita, usata negli ultimi anni in tutte le salse: «This time is different?». «Questa volta è diverso?». Ma forse è il caso di rispolverarla davvero, perché sui mercati statunitensi si sta verificando un fenomeno che in passato avrebbe avuto un’interpretazione unanime ma questa volta divide analisti ed economisti: la cosiddetta curva dei tassi, cioè la differenza tra i rendimenti dei titoli di Stato a 2 anni e quelli a 10 anni, si sta appiattendo molto velocemente. Fino all’estate era pesantemente invertita: i titoli a 2 anni lo scorso giugno erano cioè arrivati ad offrire sul mercato rendimenti 108 punti base più elevati rispetto ai titoli decennali. Ma ora il gap sta tornando normale, dato che è intorno a -22 punti base.

Se i numeri sono sotto gli occhi di tutti, l’interpretazione è discordante: per qualcuno questo brusco appiattimento è il segnale che la recessione negli Usati Uniti è davvero imminente (la pensano così pezzi grossi della finanza come Jeffrey Gundlach di DoubleLine Capital e l’ex numero uno di Pimco Bill Gross), mentre per altri significa invece che la recessione è scampata (lo sostiene Goldman Sachs). Così la Cassandra dei mercati, cioè la curva dei rendimenti che raramente sbaglia nella previsione delle recessioni, questa volta parla una lingua incomprensibile.

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Recessione sì

In un mondo normale la curva dei rendimenti è positiva: i tassi decennali devono essere più alti di quelli biennali, per il semplice fatto che chi investe su un titolo a lungo termine corre un rischio maggiore di chi investe a breve e dunque chiede un rendimento maggiore. Ma a volte la curva si inverte e sono i tassi lunghi a stare più in basso. Questo fenomeno, quasi sempre, anticipa di 18-24 mesi una recessione economica: la curva infatti si inverte perché in quel momento i tassi Fed sono alti (questo tiene alti i rendimenti brevi dei titoli di Stato) ma il mercato sconta che in futuro la Fed dovrà tagliarli per far fronte proprio alla recessione. Questo spinge in basso i rendimenti lunghi. Ma quando la recessione arriva davvero, o poco prima, la curva dei tassi solitamente torna positiva: questo perché il mercato sconta nel breve tagli dei tassi Fed e nel lungo un’economia più tonica.

Questa volta il canovaccio sembra lo stesso: curva pesantemente invertita per mesi, ma ora si muove verso la normalità. Segno - sostengono alcuni - che la recessione sta arrivando davvero. Lo pensa Bill Gross, l’uomo che fondò Pimco: «Recessione nel quarto trimestre», scrive su X. Lo pensa Jeffrey Gundlach: «La de-inversione della curva dovrebbe mettere tutti in allarme recessione», scrive. In effetti, nota Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, sebbene il Pil Usa viaggi a gonfie vele (giovedì arriva quello del terzo trimestre ed è previsto in crescita abbondante), ci sono segnali preoccupanti. Uno: le famiglie americane hanno esaurito i risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. Secondo uno studio della Fed di San Francisco, dei 2.100 miliardi di dollari accumulati in quegli anni, a giugno ne erano rimasti 190 miliardi e nel terzo trimestre zero. Questo riduce il potere d’acquisto delle famiglie, già fiaccate dall’inflazione. Due: le famiglie americane faticano a pagare i debiti. La percentuale di morosi con più di 60 giorni di ritardo nel pagamento delle rate di prestiti per l’acquisto di auto è salita al 6,11% a settembre: livello mai visto dal lontano 1994 secondo Fitch. E così via.

Recessione no

Ma tanti altri pensano che questa volta sia diverso. Perché la de-inversione della curva dei tassi avviene innanzitutto mentre i rendimenti salgono (di solito invece scendono in una fase pre-recessiva) e perché questa volta ci sono differenze abissali con il passato. Una fra tutte: «Il Tesoro americano sta aumentando il deficit a livelli record, che persisteranno a lungo - osserva Luca Mezzomo, head of Macroeconomic Analysis di Intesa Sanpaolo -. Questo causa un aumento delle emissioni di titoli di Stato che, in un periodo in cui la Federal Reserve non compra più, tiene i rendimenti elevati». Infatti tutte le volte recenti in cui la curva si è irripidita con rendimenti in rialzo - nota Goldman Sachs - ci sono stati segnali di economia in miglioramento. Dunque niente recessione in arrivo. «Questa volta a irripidire la curva dei tassi è il rialzo dei rendimenti reali e del premio per il lungo periodo», scrive Goldman. Concetto ribadito dallo stesso Mezzomo. Ora non resta che vedere chi abbia ragione tra ottimisti e pessimisti.

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  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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