Recovery Fund, pressing di Conte in Ue per evitare ritardi. L’Olanda minaccia lo stop
Nel pacchetto di luglio si prevedeva di rispettare la data del 15 ottobre per lanciare le ratifiche dei Parlamenti nazionali necessari per far partire l'operazione. Ma se tutto andrà bene se ne parlerà alla metà di novembre
di Gerardo Pelosi
3' di lettura
È uno scenario del tutto inedito quello che si sta preparando per l'entrata in vigore del Next Generation Eu a partire dal prossimo anno. I capi di Stato e di Governo dell'Unione europea affronteranno formalmente il tema solo nel Consiglio Ue del 15 e 16 ottobre ma non è escluso che già negli incontri bilaterali al margine del vertice di oggi e domani a Bruxelles si possano chiarire alcune posizioni soprattutto tra la presidenza tedesca e l'Olanda che minaccia di non ratificare il Next Generation Eu nel caso in cui si dovesse procedere a maggioranza (come vogliono i tedeschi) e non all'unanimità sul tema delle violazioni allo stato di diritto. Un inciampo in più su una tabella di marcia già in parte disattesa. Nel pacchetto di luglio infatti si prevedeva di rispettare la data del 15 ottobre per lanciare le ratifiche dei Parlamenti nazionali necessari per far partire l'operazione. Ma se tutto andrà bene se ne parlerà alla metà di novembre senza contare che il Parlamento europeo dovrà dire l'ultima parola sul bilancio 2021-2027 che riguarda anche le risorse per il Recovery fund. Uno slittamento a dopo gennaio farà scivolare inevitabilmente la data di entrata in vigore dell'accordo di almeno due mesi rispetto alla primavera prossima.
Conte: «Non è possibile non procedere speditamente»
Ma non basta. Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte confida nelle capacità di mediazione della presidenza tedesca e alla vigilia del vertice di oggi ha mostrato ottimismo. «No, non sono preoccupato- ha detto - ne parleremo anche a Bruxelles credo. Dopo quello che è stato fatto non è possibile non procedere speditamente». La Germania insiste nella sua proposta di mediazione sul tema della rule of law che si tradurrebbe nella possibilità di bloccare i fondi europei a quei Paesi (in particolare quelli di Visegrad) che violando lo stato di diritto producono un danno grave al bilancio dell'Unione e alle risorse proprie. L'Olanda, insieme ad altri frugali come Finlandia, Danimarca e Austria ma anche Belgio e Lussemburgo la ritengono troppo blanda. Per cui la mediazione tedesca per ottenere il mandato negoziale è passata a maggioranza alla riunione di ieri degli ambasciatori dei 27 (il Coreper) e non all'unanimità come avviene di solito. Ora toccherà al negoziato del “trilogo” (Commissione, Consiglio e Parlamento) affrontare la questione in vista del Consiglio del 15 e 16 ottobre.
Rutte minaccia la non ratifica del Parlamento olandese
Il presidente olandese Rutte ha già anticipato che nel caso in cui non condividerà il risultato del Consiglio del 15 il Parlamento olandese potrebbe non ratificare la parte del Recovery Fund che necessita della ratifica parlamentare ossia il punto sulle risorse proprie del bilancio Ue (Digital tax, carbon tax, tasse sulle transazioni finanziarie). Una eventualità che rimetterebbe in discussione l'intero pacchetto di luglio.
Il sospetto è che gli olandesi minacciano la mancata ratifica per ritardare il recovery fund sulla base di un pacchetto che lo stesso Rutte ha dovuto alla fine ingoiare a luglio e per il quale si sente attaccato nel suo Paese che a marzo andrà alle elezioni. La proposta tedesca secondo l'Olanda spoglierebbe la Commissione europea di poteri contro chi viola lo stato di diritto.
Primo rapporto sullo stato di diritto. Nel mirino anche l’Italia
E proprio ieri la Commissione ha presentato il primo rapporto sul rispetto dello stato di diritto negli Stati membri. Una mappa in cui non ci sono solo i casi più chiacchierati di Polonia e Ungheria ma per ogni Paese Ue vengono elencati i punti critici, già segnalati in passato da Bruxelles. Per il commissario alla Giustizia Didier Reynders, il rapporto «è uno strumento aggiuntivo» per arrivare ad un “dialogo” con gli Stati membri sui problemi riscontrati. Spicca il caso Ungheria ma anche l'Italia è nel mirino per giustizia lenta e ingolfata e scarsa indipendenza dei media e anche per gli attacchi alle associazioni non governative.
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