Recovery plan, la scadenza del 30 aprile diventa flessibile
Non è più tassativa la deadline prevista dal regolamento. Prima eccezione sarà l’Olanda, ma anche l’Italia, se ce ne fosse bisogno, potrebbe beneficiare della modifica introdotta nel testo della Commissione che attende il via libera di Consiglio e Parlamento
di Giuseppe Chiellino
2' di lettura
Diventano più flessibili i tempi per la presentazione alla Commissione europea della versione definitiva del Recovery Plan. La scadenza del 30 aprile, indicata nel regolamento ora all’esame del Parlamento e del Consiglio, per forza di cose deve essere interpretata non in modo tassativo ma come una regola generale che dunque consente le eccezioni. Tanto è vero che nell’ultima versione del regolamento, poco prima di Natale, è stata inserita l’espressione “as rule”, di regola. Cioè, non necessariamente.
Questo, hanno spiegato fonti europee, consentirà per esempio a paesi come l’Olanda, dove il 17 marzo si terranno le elezioni politiche generali, di avere il tempo di formare un nuovo governo e di redigere e presentare il proprio piano nazionale di ripresa e resilienza. Non è detto che quella olandese sarà l’unica eccezione. Dopo l’apertura della crisi governo non da escludere che anche l’Italia possa aver bisogno dei tempi supplemetari, anche se l’auspicio è che non sia necessario. Perché più tardi arriverà il piano, più tardi sarà approvato e meno tempo ci sarà a disposizione per realizzarlo.
Quanto alla scadenza di metà febbraio, spesso richiamata nel dibattito anche dalle autorità italiane, in realtà non è indicata formalmente da nessuna parte perché è una data “mobile”, nel senso che si riferisce all’entrata in vigore del regolamento di Next Generation Eu, dopo che ci sarà stato il via libero definitivo di Parlamento e Consiglio, dopo l’accordo politico raggiunto a dicembre. Nel momento in cui il regolamento entrerà in vigore, ciascun paese potrà presentare formalmente a Bruxelles il proprio piano. Ogni paese decide quando mandarlo, ma prima di quella data non avrebbe alcun valore legale.
C’è poi un’altra scadenza ballerina: quella degli anticipi del 13% che per l’Italia valgono 20-21 miliardi di euro. Per poterli pagare la Commissione comincerà ad emettere gli “eurobond”, ma prima dovrà attendere l’approvazione in tutti gli Stati membri della direttiva sulle risorse proprie che autorizza l’emissione di debito comune. Se non ci saranno intoppi, non prima di metà maggio.
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