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Reddito di cittadinanza: tesoretto da 850 milioni, scontro su come usarlo

di Marco Rogari e Gianni Trovati

Con reddito di cittadinanza e quota 100 meno occupati e più senza lavoro

3' di lettura

Il ritmo lento con cui arrivano le domande per il reddito di cittadinanza ha due effetti collaterali sui conti pubblici: il primo è positivo, perché meno richieste significano minore spesa e quindi una riserva più consistente di “risparmi”. Ma meno richieste, e qui arriva la ricaduta negativa, significano anche meno beneficiari, e quindi meno spinta ai consumi. In un quadro nel quale l’anemica crescita italiana prevista per quest’anno (+0,2%) si affida molto all’effetto espansivo del reddito, che secondo i calcoli Mef dovrebbe appunto creare quasi quattro miliardi di Pil in più.

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In questa fase delicata, però, la politica è più attenta al primo aspetto. Già da un mese abbondante in realtà si è cominciato a capire che il reddito non avrebbe assorbito tutta la parte del “fondone” a lui dedicata. Le tabelle del servizio Bilancio della Camera nel dossier tecnico dedicato al decretone su quota 100 e reddito di cittadinanza hanno calcolato a inizio marzo in 323 milioni il «residuo disponibile» del fondo da 7,1 miliardi intestato alla misura bandiera dei Cinque Stelle. La stima, però, era basata sull’ipotesi di un’adesione quasi piena dei potenziali aventi diritto, in una platea che era stata già tagliata del 10% quando è stata scritta la legge di bilancio. L’andamento reale delle domande mostra però che a meno di improbabili colpi di coda il bacino d’utenza reale sarà ancora più ristretto. Al punto che lo stesso vicepremier Luigi Di Maio riconosce che «sicuramente avanzeremo qualche centinaio di milioni». Quanti?

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Le stime tecniche più aggiornate parlano di 700-850 milioni di euro per il 2019. E il contatore potrebbe salire ancora se il ritmo di adesione non aumentasse in modo percepibile. Una cifra del genere non è trascurabile, soprattutto nella griglia stretta tracciata dal Def ora in discussione in Parlamento. E proprio per questa ragione l’attenzione della maggioranza sul punto si fa intensa: con l’idea di impiegare questi soldi per una nuova misura, magari spendibile anche sul piano elettorale. I Cinque Stelle guardano in particolare a un nuovo pacchetto di interventi per la famiglia e il lavoro, dalla conciliazione sulla falsariga del modello francese a un sostegno per la riduzione dell’orario di lavoro ipotizzata nei giorni scorsi dal commissario e presidente designato Inps Pasquale Tridico. E anche la Lega ha già messo gli occhi sul tema, anche per rilanciare le sue proposte fiscali.

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Ma l’idea di un “tesoretto”, oltre che pericolosa visti i precedenti, non è scontata. Prima di tutto perché il meccanismo disegnato dalla legge di bilancio prevede vasi comunicanti tra i fondi per il reddito e quelli per quota 100. Sul versante previdenziale, dove invece le domande piovono, il primo monitoraggio significativo sulla spesa è atteso agli inizi di maggio. E in ogni caso i conti si faranno a fine anno.

Ma anche se gli anticipi delle pensioni rimarranno nei binari finanziari individuati con la legge di bilancio, le ipotesi di riutilizzo della dote del reddito di cittadinanza incontrano un altro ostacolo. Quello del ministero dell’Economia, che come già ufficializzato per i due miliardi di spesa congelata a dicembre e ora tagliata, ha tutta l’intenzione di vigilare sulle risorse aggiuntive che si rendessero disponibili. Un’impostazione, va ricordato, in linea con la stessa legge di bilancio che fissa due principi: «Le eventuali economie - si legge al comma 257 - possono» riconfluire nei due fondi per reddito e pensioni, con una formula opzionale pensata proprio per aprire la strada a un’altra ipotesi: quella dell’utilizzo a riduzione del deficit. E il pallino, questo l’altro principio della manovra, è nelle mani del ministero dell’Economia che dovrà ritoccare i conti «con propri decreti».

E il Mef non darà certo un via libera a cuor leggero a una destinazione alternativa. Anche perché, come ricorda il ministro dell’Economia Tria ormai ogni giorno, il +0,2% di crescita appena messa in preventivo è sì «prudente», ma soggetto a più di un rischio perché per essere tradotta in pratica serve un’accelerazione netta nell’ultima parte dell’anno. Prima di allora, insomma, ogni fiducia su tesoretti più o meno ipotetici rischia di essere prematura.

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