Regionali, le elette sono appena il 23%. Hermanin (+Europa): «Donne rimosse dalla politica»
Campionessa di parità è la Toscana, in coda la Valle d’Aosta con un consiglio composto quasi al 90% da uomini. E le governatrici restano solo due
di Manuela Perrone
3' di lettura
Su un totale di 286 tra consiglieri regionali e governatori eletti nell’ultima tornata di elezioni le donne sono 67: appena il 23%. Nessuna governatrice: in Italia ne restano due - Donatella Tesei in Umbria e Jole Santelli in Calabria, entrambe del centrodestra - su 20 regioni. A fare i conti post-voto è Costanza Hermanin, fellow dell’Istituto universitario europeo e dirigente di +Europa.
Il record negativo in Valle d’Aosta
«Non si pensi che si tratti solo delle regioni del Sud», avverte Hermanin. «Se in una Puglia in cui il Governo ha dovuto esercitare i poteri sostitutivi per imporre la doppia preferenza di genere le donne sono solo il 16% delle elette, il record negativo lo detiene la nordicissima Valle d’Aosta, con un consiglio composto quasi al 90% di uomini. Campione assoluto di parità la Toscana, con il 40% di donne, seguita dal Veneto con il 34%».
Le quote funzionano quando sono “di risultato”
Che cosa non sta funzionando? «I politici navigati hanno buon gioco ad assolvere gli obblighi di legge giocando su collegi e preferenze», punge Hermanin. «I risultati si vedono soprattutto a livello locale, dove anche i sindaci sono all’87% uomini. Le quote funzionano quando sono “di risultato”, come nei Cda in cui è obbligatoria una composizione al 40% maschile, e in alcune giunte locali. Ma il top - amministratori delegati, presidenti, primi ministri, leader dei partiti - rimane sostanzialmente maschile». Come lo stile di leadership: queste regionali hanno premiato come non mai i governatori “sceriffi” più che i loro partiti di riferimento.
Senza rete, donne escluse da lavoro e politica
Quel 23% di neoconsigliere è un dato che fa riflettere. Ha davvero fondamento la tesi secondo cui le donne si tengono lontane dalla politica per mero disinteresse? O invece è il contrario: non riescono a partecipare al mercato del lavoro e alla vita pubblica in generale perché sono schiacciate dal carico di lavoro gratuito di cura e prive di un’adeguata rete strutturale di sostegno, dai nidi ai servizi per non autosufficienti? Hermanin ricorda a questo proposito i risultati di un sondaggio Emg Acqua per +Europa, secondo cui «sia uomini sia donne pensano che il cameratismo in politica conti quanto il peso del lavoro familiare per spiegare l’insuccesso delle carriere politiche al femminile. Non il disinteresse». Ma che servano più donne (anche) in politica non ci sono dubbi: «Come le aziende che privilegiano la diversity aumentano i fatturati, i Paesi guidati da donne hanno affrontato meglio il Covid e le amministrazioni locali hanno migliori politiche sociali».
La competenza? Un falso problema
«Ci si riempie da più parti la bocca di parità», riflette con amarezza l’esponente di +Europa. «Ma abbiamo visto i comitati di esperti: da quello di Colao a quello di Cottarelli sulla riforma fiscale le donne sono state completamente rimosse. Si potrebbe proseguire con il Csm e il Consiglio di Stato. Eppure, anche solo statisticamente, se si seguisse un criterio meritocratico, non si avrebbero difficoltà a trovare persone competenti, in un’Italia in cui le donne laureate sono più dei laureati, le magistrate più dei magistrati».
Riforme, un nuovo comitato per garantire più partecipazione
Il deficit di presenza si riverbera su tutto il resto. Adesso, per esempio, è concreto il rischio che le donne siano tagliate fuori sia dal cantiere per il Recovery Plan sia da quello delle riforme istituzionali dopo la vittoria del Sì al taglio dei parlamentari, a cominciare dalla legge elettorale. Per evitarlo le associazioni già si stanno muovendo. Rete per la parità e DonneinQuota hanno appena lanciato il comitato “Oggi è un altro giorno” chiamando a raccolta esperte, esperti, intellettuali, cittadine e cittadini per garantire un percorso più partecipato possibile.
Occhi puntati sulla legge elettorale
Nello specifico il neonato comitato punta a «ottenere la governabilità e il prestigio della democrazia parlamentare attraverso una riforma elettorale che garantisca un Parlamento rappresentativo e aperto alla partecipazione» e si impegna «perché la nuova legge elettorale non sia solo espressione della maggioranza attuale di Governo ma frutto anche della interlocuzione con la società civile». Nel mirino c’è soprattutto la scelta delle candidature. «Sulla scia di quanto già elaborato anni fa dall'associazione Aspettare stanca - spiegano Rosanna Oliva e Donatella Martini - il comitato si batterà per far approvare una legge che preveda primarie regolamentate e per assicurare la scelta delle candidate e dei candidati più rappresentativi, non frutto di accordi nelle segrete stanze delle forze politiche».
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