ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùCassazione

Regista calunniò Vasco Rossi, ma il reato è prescritto

Prescritta l’accusa di calunnia a carico del registra Stefano Salvati, condannato ad un risarcimento simbolico di 10 mila euro. Falso l’accordo di riservatezza con il rocker di 200 mila euro l’anno per 30 anni

di Patrizia Maciocchi

(Maria Laura Antonelli / AGF)

2' di lettura

Finisce con una dichiarazione di prescrizione dell’accusa di calunnia per il regista Stefano Salvati ai danni di Vasco Rossi. La Corte di cassazione, mette la parola fine ad una lunga querelle tra il rocker emiliano e il suo ex manager. I giudici di legittimità confermano però un risarcimento “simbolico” di 10mila euro a favore del cantante e la “declaratoria di falsità” del documento, alla base del braccio di ferro giudiziario, denominato “accordo di riservatezza”. Un atto, sequestrato il 18 luglio del 2014, nel quale il cantante si impegnava, a detta di Salvati, a versargli un compenso di 200mila euro l’anno per 30 anni, in cambio di nessun tipo di prestazione lavorativa. Fu il mancato rispetto di un accordo, poi rivelatosi “tarocco” che aveva indotto Salvati a citare, nel 2012, in giudizio civile Vasco Rossi per chiedere il pagamento della prima rata prevista dall'accordo sulla privacy, a suo dire oneroso.

La gratuità degli altri accordi

Loading...

Per Rossi, che querelò il regista, fu effettivamente firmato un accordo, ma gratuito e uguale a quelli sottoscritti con altri collaboratori. Quello a pagamento, invece, era falso, come poi appurato dal Tribunale anche attraverso la testimonianza del cantante di Zocca.

La Corte di appello di Bologna, dopo una lunga camera di consiglio, aveva confermato la sentenza di primo grado. Un verdetto che trova ora l’avallo della Suprema corte, secondo la quale, come evidenziato, tutt’altro che illogicamente, dalla Corte d’Appello «Vasco Rossi non aveva alcun motivo di stabilire con Salvati un rapporto diverso da quello intercorrente con gli altri collaboratori, al punto di riconoscergli un compenso di ben euro 200mila ogni anno per trenta anni, a fronte della gratuità di tutti gli altri accordi di riservatezza, in assenza di qualsivoglia menzione delle ragioni specifiche che avrebbero potuto giustificare quella rilevante differenza, cioè il progetto, neppure abbozzato, incentrato sulla realizzazione di una biografia». Fermo restando si legge ancora nella sentenza «che i giudici di merito hanno escluso che un impegno economico così rilevante potesse essere assunto dal cantante ad insaputa dello studio legale di fiducia cui si rivolgeva costantemente, per giunta in una fase in cui Vasco Rossi aveva in animo di far scadere a settembre anzichè a dicembre di quell’anno il rapporto di prova con Salvati, rapporto che a quella scadenza non sarebbe poi stato rinnovato in ragione di criticità maggiormente evidenziatesi nel prosieguo». La Cassazione pur confermando la correttezza dell’impianto della sentenza di merito, l’ha annullata senza rinvio agli effetti penali constatando la prescrizione del reato, confermando però le statuizioni civili. E dunque appunto i 10 mila euro decisi in appello come condizione di risarcimento per ottenere per la sospensione condizionale a fronte di una condanna a due anni. Ed è la conferma di un verdetto che aveva allora soddisfatto Vasco Rossi che aveva ribadito in quell’occasione di non cercare vendetta.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti