Commercio, come cambiano le regole per 850 marchi storici
Nel provvedimento del Mise un doppio binario: registrazioni di almeno 50 anni e per chi può provarne l’utilizzo. Modifica al Milleproroghe per un Fondo che attragga investimenti
di Carmine Fotina
3' di lettura
Tutto inizia nel 1879 quando i primi depositi di marchi commerciali aprono una lunga era di marketing industriale. A distanza di 140 anni, dopo che il ministero dello Sviluppo economico si è ritrovato alle prese con il problema delle possibili delocalizzazioni di brand legati al made in Italy (il caso Pernigotti ha fatto scuola), alle aziende titolari o licenziatarie esclusive di marchi storici viene offerta la possibilità di iscriversi a un registro e utilizzare un logo promozionale unico.
Gli archivi ministeriali si aprono a fine ’800 con Vermouth, Valvoline, Vaseline, Cordial Campari, Kodak e pochi altri pionieri ma è dagli anni Dieci del ’900 che la registrazione dei marchi inizia a mostrare numeri rilevanti. Attualmente sono circa 850 i marchi registrati da almeno 50 anni e che sono ancora in vita, cioè per i quali i titolari continuano a pagare il diritto di rinnovo.
Come funzionerà il Registro
L’accesso al Registro e la possibilità di usufruire del marchio storico di interesse nazionale sono regolati da un decreto dello Sviluppo firmato dal ministro Stefano Patuanelli (e in fase di registrazione) in attuazione del “decreto crescita” dello scorso aprile. In realtà, oltre ai marchi ultracinquantenni depositati, il regolamento apre anche ai marchi non registrati a patto che l’azienda interessata presenti la documentazione prevista dal Codice della proprietà industriale che ne attesti l’uso oggettivo, presentando ad esempio campioni di imballaggi, etichette, cataloghi, fatture, documenti di spedizione. L’iscrizione e quindi l’uso del marchio storico sono consentiti anche ad aziende straniere che detengono marchi storici e producono in stabilimenti italiani.
Servirà ora un ulteriore provvedimento, un decreto direttoriale, per regolare la procedura di domande e accesso al Registro ma ad ogni modo l’esame delle istanze di iscrizione, condizione necessaria per usufruire del logo Marchio storico, dovrebbe concludersi entro 60 giorni, nel caso di marchio registrato, o entro 180 giorni, per marchi non registrati.
Potrebbero esserci dispute inattese, ad esempio domande di accesso al marchio storico presentate dal solo licenziatario esclusivo senza un chiaro assenso del titolare; in questi casi toccherà all’Ufficio italiano brevetti e marchi del ministero dello Sviluppo, prima di decidere sull’iscrizione, sentire entrambi i soggetti. Assicurando comunque prevalenza all’orientamento del titolare.
Il cambio di rotta
L’ex ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio inizialmente legò il lancio del registro al contrasto delle delocalizzazioni, nel momento di massima tensione della vicenda Pernigotti. Tuttavia era chiaro fin dalle prime battute che la norma non avrebbe potuto essere retroattiva ed essere applicata al caso dell’azienda piemontese. Non solo. Le crescenti preoccupazioni delle associazioni imprenditoriali sulla possibilità che iscriversi al registro comportasse in realtà più oneri che onori hanno a lungo frenato la partenza dell’iniziativa. Il timore derivava essenzialmente dagli obblighi di comunicazione (e dalle relative sanzioni) per delocalizzazioni dovute a improvvise crisi industriali . Per questo il confronto tra il ministero e le organizzazioni di impresa ha poi chiarito le finalità del Registro, volto a supportare campagne promozionali delle imprese storiche prevalentemente all’estero.
Il Fondo salva aziende
Non è direttamente legato al Registro il Fondo da 30 milioni previsto dallo stesso decreto crescita. Un emendamento governativo al decreto milleproroghe, attualmente all’esame della Camera, ne ridefinirà l’area di applicazione trasformandolo in un Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e l’attrazione di investimenti nel capitale di rischio. Il Fondo dovrebbe agire su due piani: avrebbe un accesso preferenziale per le aziende con i marchi storici ma sarebbe aperto a tutte le aziende che comunicano l’ìintenzione di chiudere il loro sito produttivo o delocalizzare la produzione all’estero con conseguente licenziamento collettivo. Bisognerà capire se resteranno in vigore anche le sanzioni (da 5mila a 50mila euro) che il decreto crescita aveva previsto a carico delle imprese titolari di marchi storici che non rispettano l’obbigo di informare il Mise sui progetti di delocalizzazione o chiusura.
Il nodo risorse
Un punto non banale sarà ovviamente l’entità del Fondo. Attualmente sono disponibili solo 30 milioni di euro per il 2020, ma lo Sviluppo economico punta a recuperare con un emendamento o comunque attraverso residui interni 50 milioni. Una corsa a trovare nuove risorse anti-delocalizzazioni dopo che un Fondo specifico da 200 milioni previsto dal governo Gentiloni era stato cancellato da Di Maio per dirottare la dote nel Fondo nazionale innovazione.
Per approfondire:
● Marchi storici, nessuna sanzione per chi compra e poi delocalizza
● Marchi storici, registro e modello francese: chi chiude deve trovare l'acquirente
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