Regole efficaci e controlli severi. Le lezioni di Archegos
di Marco Onado
3' di lettura
Il dissesto di Archegos che sta facendo tremare Wall Street è molto di più di un semplice incidente di percorso nella grande corsa dei mercati finanziari dallo scoppio della pandemia almeno per due motivi fondamentali.
Il primo è che gli effetti finora registrati (il crollo di azioni importanti come ViacomCBS e Discovery, le perdite miliardarie di Nomura e Crédit Suisse) possano creare un effetto valanga, il che significherebbe che a oltre dieci anni dalla grande crisi del 2008, il sistema finanziario globale ha ancora forti elementi di fragilità, per di più per colpa dei soliti sospetti, cioè i giganti globali.
Il secondo riguarda la facilità con cui personaggi che muovono fortune misteriose e anche pesantemente sanzionati come Bill Hwang possono continuare a muovere capitali ingenti, assumere rischi enormi con il credito delle grandi banche di cui sopra, sotto l’occhio distratto delle autorità di controllo.
Il dissesto di Archegos è il più grave a colpire un hedge fund dai tempi di LTCM che nel 1998 aveva fatto temere una crisi sistemica. Nel caso di oggi, il punto critico è sempre lo stesso: l’estremo grado di leverage consentito dai derivati, che amplifica i guadagni, ma anche il rischio non solo per le parti coinvolte, ma per il sistema nel suo complesso. Il giochetto è molto semplice: comprare titoli a credito usando gli stessi titoli come garanzia; la banca si protegge con un margine, cioè valutando i titoli meno del prezzo di mercato. Questo scarto (il margine) misura il grado massimo di indebitamento che l’investitore può assumere: se ad esempio è del 5%, significa che può indebitarsi (e moltiplicare i suoi profitti) fino a venti volte il capitale. Ma se i finanziatori avvertono un aumento del rischio e richiedono margini più alti, il Paese dei balocchi svanisce di colpo. L’investitore è costretto a vendere i titoli, con il che fa diminuire ulteriormente i prezzi, inducendo le banche ad aumentare ancora i margini, in una parola mettendo in moto una reazione a catena devastante. Da anni la ricerca economica ha dimostrato che questo meccanismo è perfettamente analogo nella capacità di creare crisi sistemiche alla tanto temuta corsa agli sportelli delle banche tradizionali. Ma i signori della finanza globale non sembrano aver letto quei paper e continuano a sostenere a piene mani strategie speculative altamente rischiose.
E qui veniamo al punto cruciale. Dopo la grande crisi finanziaria la regolamentazione è stata indubbiamente rafforzata, ma complessivamente il sistema finanziario globale può continuare a svolgere una parte rilevante della propria attività con gradi di indebitamento e di rischio estremi. Un motivo è il fatto che il cosiddetto shadow banking system, cui Archegos appartiene, è stato meno regolamentato delle banche tradizionali, soprattutto nei suoi meccanismi più delicati come appunto l’indebitamento ottenibile attraverso il sistema dei margini. Un altro è che le grandi banche globali agendo come prime broker incassano pingui commissioni, ma assumono rischi che non sono affatto proporzionali ai requisiti di capitale previsti dalle regole di Basilea. Il contrasto rispetto a quanto vale per il finanziamento dell’attività produttiva si fa sempre più stridente e intollerabile. In altre parole, non illudiamoci di aver risolto definitivamente i problemi posti dai mercati finanziari e dalle grandi banche globali che li finanziano.
Come non bastasse, c’è il problema del signor Hwang, cioè il dominus di Archegos. Costui è stato sanzionato nel 2012 per insider trading per 44 milioni di dollari (aveva patteggiato, facendo venir meno l’azione penale che comporta pene assai severe) e interdetto per 5 anni. Nel 2014 gli è stato vietato di operare a Hong Kong. Ma aveva subito costituito un altro hedge fund americano, arrivando a gestire oltre 10 miliardi di dollari, questa volta però sotto l’etichetta del family office (quelli che hanno meno di 15 investitori) sottraendosi così alle regole – peraltro abbastanza permissive in materia di leverage e rischio – valide per la generalità degli hedge fund. Insomma, formalmente era poco più di una botteguccia, ma poteva indebitarsi per somme che nella realtà produttiva sono accessibili solo alle mega imprese. Per la verità la nuova legge bancaria prevede norme più rigide anche per questi operatori, ma la Sec (e questa è proprio la ciliegina sulla torta) aveva graziosamente concesso loro il beneficio dell’iniziativa per entrare nel gruppo degli operatori vigilati. Una sorta di autocertificazione che evidentemente Hwang si è ben guardato dal presentare. Il nuovo presidente della Sec nominato da Biden, Gary Gensler, deve rimboccarsi subito le maniche. Da troppo tempo aspettiamo regole efficaci e controllori severi. Viene in mente la battuta di C’era una volta in America. «È tanto che aspetti?» Risposta: «Tutta la vita».
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