LE INTERVISTE

Reinhold Messner: «Il segreto in montagna come nella vita è procedere con passo lento»

Ha fatto più di cento spedizioni e ha scritto pagine indimenticabili nella storia dell'alpinismo. A partire da tutte le volte che è salito sul Monte Bianco.

di Paco Guarnaccia

Un alpinista sul Monte Bianco

3' di lettura

A 5 anni scalava già con i suoi genitori raggiungendo i 3000 metri. A poco più di 20 apriva nuove inesplorate vie nelle Dolomiti (“casa mia”, dice, lui che è nato a Bressanone nel 1944). A metà degli anni 80 aveva già scalato tutti gli 8000 metri himalayani. Sempre in assetto leggero. Poi, con il passare degli anni, la scelta di continuare ad esplorare, ma in orizzontale, dall'Antartide, 2800 chilometri tra i ghiacci in 92 giorni (“uno dei viaggi più belli che ho potuto fare: faticoso e pericoloso” - ricorda), al deserto dei Gobi. E di scrivere libri, realizzare film, diffondere la cultura dell'alpinismo con un apprezzatissimo museo e aiutare con una fondazione (la Messner Mountain Foundation) le popolazioni montane. Supportata anche dalla maison Montblanc che, a Reinhold Messner, gigante dell'alpinismo mondiale, ha dedicato un segnatempo.

Reinhold Messner.

Come è nato questo progetto e che significato ha per lei? Ho scalato tante volte il Monte Bianco e quando mi hanno chiesto di fare il testimonial per un orologio Montblanc subito ho detto di sì. L'orologio è l'unico mezzo tecnico che io uso: ne ho sempre avuto uno per organizzarmi il tempo perché sapere, quando arrivi su una cima, quante ore hai a disposizione fino al buio, quando devi essere ritornato nella tendina o in un buco di neve per scaldarti, è fondamentale.

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Come mai ha deciso che durante le sue scalate avrebbe usato un assetto leggero, soprattutto senza bombole d'ossigeno? Allora, 40 anni fa era ovvio usarle, perché la pressione in alta quota è troppo bassa e l'ossigeno manca. La medicina diceva che senza le bombole era la morte. Ce ne volevano 7 per andare in cima all'Everest. Invece ho potuto dimostrare che era possibile non usarle: non era soltanto più elegante salire, ma meno pesante anche dal punto di vista economico. Con le bombole dovevi avere degli sherpa, dovevi preparare la via. Costava dieci volte in più. E io i mezzi per fare una spedizione pesante e costosa non li avevo. La scelta era tra salire senza o non salire.

Quanto costava allora e quanto costerebbe adesso? Negli anni 70 tra i 200 e i 500 mila dollari, per gli 8mila metri. Io sono riuscito a fare la stessa cosa con 10mila. Adesso le cose sono cambiate perché la gente fa turismo. Ci sono centinaia di sherpa che preparano la salita sull'Everest e nelle agenzie si può comprare un viaggio fino in cima. Questo non ha niente da fare con il mio alpinismo. Io avevo delle idee e le ho realizzate. Oggi si compra un passaggio.

Quale è stato il suo primo pensiero quando è arrivato sull'Everest? Niente, niente di speciale. Lassù sei molto lontano da ogni sicurezza, dalla civiltà: è strano perché per mesi ti prepari, sali, sali e alla fine, se raggiungi la cima, vuoi soltanto scendere. E anche la discesa è piena di pericoli.

E al campo base in un momento di relax cosa provava? La grande gioia di essere tornato sano e salvo perché eri al limite tra la vita e la morte: è quasi come una rinascita.

Il 1858 Geosphere Messner Limited Edition è in edizione limitata a 262 pezzi, numero che ricorda le montagne oltre i 26.200 piedi scalate da Messner. Cassa in bronzo e fondello in titanio che mostra le Seven Summits, la Lista Messner completa, il Monte Bianco, una bussola, due picconi incrociati e la firma di Messner incisa. Movimento automatico e lettura dell'ora universale. Prezzo: 6.100 euro.

Quale era il segreto che la portava ad essere così forte? Fisico? Mentale? È una questione mentale. Alla fine decide la tua volontà, la tua capacità di identificarti con quello che vuoi fare. È la somma di quello che hai imparato nella tua vita. Sono io che devo dare senso a quello che faccio. E non cade dal cielo. Il senso lo invento e lo metto nel mio cuore per avere la motivazione, anche nei momenti più drammatici, a sopravvivere.

Cosa l'ha spinta a lasciare l'alpinismo e a dedicarsi alle esplorazioni in orizzontale? Quando ho capito di aver raggiunto il massimo delle mie capacità, ho sempre cambiato. Perché fare una cosa che diventa ovvia non ti dà più emozioni, non ti dà il massimo di motivazione che serve per riuscire.

Quale è stata la più grande soddisfazione della sua carriera? Ho fatto più di 100 spedizioni… ne ho avute tante. Però non guardo indietro. Io vivo intensamente con quello che faccio adesso. Qui e adesso.

Qual è la lezione più importante che si impara dalla montagna? I tibetani, se raggiungono un passo o una cima dicono: Kalitè che tradotto sarebbe ‘sempre col passo lento'. Non soltanto sloow food, non soltanto sloowgoing. Kalitè, sempre col passo lento, specialmente in montagna dove ogni passo sbagliato può significare la morte.

Dopo queste esplorazioni, qual è la difficoltà di rientrare nella civilizzazione? Ritornato a casa all'inizio non sai più usare la macchina! Oggi mi sono abituato a ritornare.

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