I dem e i venti di crisi

Renzi, Franceschini, Zingaretti: su M5s e governo tre linee nel Pd

Mentre il governo sembra destinato a restare in piedi almeno fino all’autunno, i venti di crisi agitati in Parlamento e fuori hanno per ora fatto una vittima certa: il Pd, che in pochi giorni è stato risucchiato dalle sue divisioni interne facendo emergere almeno tre strategie poco conciliabili tra di loro

di Emilia Patta

Zingaretti conferma: "Nessuna ipotesi di governo Pd-M5s"

4' di lettura

La formalizzazione del voto di fiducia sul Ddl sicurezza bis, che vede M5s e Lega ricompattarsi su un tema caro a Matteo Salvini, sembra all0ntanare le ipotesi circolate negli ultimi giorni su una caduta imminente del governo Conte. Con l’effetto paradossale che a dividersi è stato soprattutto il principale partito di opposizione, il Pd.

Dialogo con il M5s si o no? Tre linee nel Pd
Il tema sullo sfondo è lo stesso di inizio legislatura: il dialogo con il M5s, anche in prospettiva, in funzione anti-Salvini e europeista. Da una parte l’ex leader Matteo Renzi che ha ribadito il suo niet. Dall’altra il grande elettore dell’attuale segretario Nicola Zingaretti, ossia Dario Franceschini, che auspica un dialogo con i pentastellati «a partire da certi valori». Ma dietro il duello Renzi-Franceschini sono almeno tre le posizioni in campo nel Pd.

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Franceschini: l’incontro sui valori possibile già ora
Franceschini aveva caldeggiato la formazione di un governo giallo-rosso già a inizio legislatura. La sua idea di fondo è che il M5s e la Lega sono molto diversi, e in epoca di proporzionale il compito del Pd è quello di dialogare con la parte “sinistra” dei pentastellati anche in un’ottica di prospettiva, ossia la formazione di una futura maggioranza di governo contro la destra salviniana. Il segretario Zingaretti è d’accordo sull’impostazione di fondo, ossia dell’ineluttabilità del dialogo con il M5s in prospettiva, ma a dividerlo da Franceschini è soprattutto la tempistica. Franceschini vede possibile tale convergenza tra democratici e pentastellati già in questa legislatura, nel caso in cui Salvini decidesse di staccare la spina al governo Conte per tentare la strada delle urne anticipate. Anche perché nel 2022 si dovrà eleggere il nuovo capo dell0 Stato e i democratici hanno tutto l’interesse a partecipare, magari in prima persona, all’importante scelta senza lasciare campo libero al sovranista Salvini.

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Zingaretti: dialogo sì, ma prima si torni alle urne
Il punto di vista di Zingaretti è diverso: in caso di crisi il segretario del Pd è fermamente convinto delle necessità di tornare alle urne, e di questo ha avuto modo di “avvertire” in colloqui informali il Presidente Sergio Mattarella nelle scorse settimane. Vero che se si precipitasse alle urne molto probabilmente vincerebbe la destra a trazione salviniana e il Pd si dovrebbe accontentare di un pur dignitoso secondo posto. Ma in questo caso, confidando sul calo del M5s, si prefigurerebbe un ritorno al bipolarismo destra-sinistra e sarebbe più facile l’incontro con un movimento certamente rinnovato nella leadership («non possiamo fare accordi con chi, come Di Maio, ha portato la destra al governo»). E soprattutto Zingaretti avrebbe l’opportunità di fare le liste elettorali a sua immagine e misura eliminando la maggior parte dei renziani.

Il nodo dei gruppi parlamentari “renziani”
Uno dei problemi più forti di Zingaretti in questa legislatura, infatti, è il rapporto con gruppi parlamentari formati in epoca renziana. Soprattutto in Senato, dove siede lo stesso Renzi, è evidente che il gruppo non risponde al segretario del partito ma al suo leader naturale. Come dimostra la decisione di queste ore, mal digerita a Largo del Nazareno, di far parlare l’ex leader a nome del gruppo nel dibattito sull’affaire Russia con il premier Giuseppe Conte.

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La strategia di logoramento di Renzi: no al M5s e no alle urne
La composizione attuale dei gruppi è anche la ragione, d’altra parte, per la quale i renziani sono i più contrari tra i dem a un possibile voto anticipato. D’altra parte la lettura di Renzi, che come è noto parla con Salvini, è che il governo giallo-verde andrà avanti ancora per un bel po’, almeno un altro anno. E questa per l’ex premier è la tempistica perfetta: in tempo per permettere a Salvini stesso e ai suoi alleati pentastellati di logorarsi tra le acque agitate della prossima difficile legge di bilancio, e in tempo per permettere anche allo stesso segretario Zingaretti di logorarsi in un’opposizione difficile. Solo avendo almeno qualche mese Renzi può pensare a un suo ritorno in campo: o con la formazione di un nuovo soggetto politico a destra del Pd zingarettiano o con la sfida alla leadership all’interno del Pd stesso.

La paura (non solo nel Pd) di non essere rieletti
Nonostante il niet a qualsiasi forma di collaborazione con il M5s, sia in questa legislatura sia in prospettiva, un ritorno alle urne precipitoso troverebbe in difficoltà soprattutto Renzi. E i suoi in Parlamento, naturalmente, che temono l’ “epurazione” zingarettiana delle liste elettorali. Paradossalmente proprio la paura di non essere rieletti - nel Pd ma anche tra i parlamentari del M5s e di Forza Italia - potrebbe far sì che la soluzione Franceschini, ossia una maggioranza alternativa in questo Parlamento, diventi improvvisamente un’opzione in caso di crisi nei prossimi mesi.

Si vedrà. Quel che è certo è che, mentre il governo sembra destinato a restare in piedi almeno fino all’autunno, i venti di crisi agitati in Parlamento e fuori hanno per ora fatto una vittima certa: il Pd, che in pochi giorni è stato risucchiato dalle sue divisioni interne facendo emergere almeno tre strategie poco conciliabili tra di loro.

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