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Costoso, difficile, non necessariamente foriero di risultati positivi. Se all’indomani della pandemia, e a maggior ragione dopo la guerra, il percorso di reshoring delle imprese pareva esito scontato e necessario per affrontare il mondo nuovo che si andava delineando, i fatti indicano una rotta molto meno lineare.
Il confronto tra economisti, manager e imprenditori evidenzia anzitutto l’assenza di una ricetta univoca, tenendo conto di vincoli di sistema rilevanti.
Le aziende più interconnesse in chiave internazionale -. spiega Daria Taglioni (World Bank) - sono ad esempio quelle che paiono aver superato al meglio gli shock, con la diversificazione, più che “l’autarchia”, a rappresentare una polizza assicurativa contro i rischi.
Se una parte di “rilocalizzazione” sta avvenendo, l’aspetto più critico è però altrove, nelle lezioni imparate dalla crisi. «Serve flessibilità . spiega il Ceo di Porsche Consulting Joseph Nierling - e occorre avere una ridondanza nelle forniture: il mondo del “single source”, è finito. L’altro tema da presidiare riguarda la dimensione degli investimenti, evitando verticalizzazioni eccessive o gigafactory non smobilizzabili in tempi brevi: velocità di risposta e fluidità oggi sono valori imprescindibili».
Altro punto rilevante - osserva Maria Savona (University of Sussex e Luiss) - è la dipendenza europea dall’export, dopo avere forse sottostimato gli effetti della frenata della domanda continentale anche per effetto di politiche fiscali restrittive. Fare nearshoring dovendo al contempo presidiare al meglio i mercati esteri è un percorso indubbiamente più complesso.
La crisi recente ha ad ogni modo messo in evidenza la necessità di intervenire per affrontare in chiave strategica i temi dell’autonomia dell’Europa su aree critiche come la transizione “green” e quella digitale.
Dipendenze evidenti vi sono in questo caso ad esempio dal lato delle materie prime (vedi litio o terre rare) ma anche più a valle nella dimensione manifatturiera tra chip, batterie o magneti permanenti. Ed è in quest’area - spiega Valentina Meliciani (Luiss, Think Tank Europe), che l’Europa dovrebbe investire, non puntando su ogni parte della filiera ma solo là dove i divari sono sanabili.
Ad esporre i vantaggi della filiera corta è Marco Hannappel, Presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia, che ricorda come nella costruzione del maxi-stabilimento emiliano di Crespellano, 1,2 miliardi di investimento, siano state coinvolte 650 aziende, di cui 600 italiane.
«Abbiamo lavorato in modo integrato ad esempio con la filiera del packaging - spiega - che vede sul territorio alcune delle eccellenze globali del settore, realizzando un codesign a kilometro zero di grande beneficio, sia in termini di velocità di risposta che di protezione dalle crisi. Così come abbiamo chiuso un accordo di cinque anni con gli agricoltori per la fornitura di tabacco. Credo che la partnership di lungo periodo sia la strada giusta per difendersi al meglio dagli shock sistemici».
Che sia reshoring o nearshoring, ridisegno delle filiere o ridondanza delle forniture, ragionare di questi temi oggi è diventato necessario, osserva il presidente di Simest Pasquale Salzano. Se in un mondo prevedibile, spiega, le scelte delle imprese si basano principalmente su parametri di convenienza economica, oggi il venire meno della certezza del diritto internazionale crea uno scenario del tutto diverso: cade l’ordine globale per lasciare spazio al disordine.
«Conoscere ciò che accade in modo più puntuale e attrezzarsi per reagire - spiega - sono oggi elementi fondamentali per competere: dobbiamo essere consapevoli di vivere in un mondo meno sicuro e dunque anche più costoso».
Rischi geopolitici ma anche climatici, come testimonia l’alluvione in Emilia-Romagna, che vede l’impegno diretto della società del gruppo Cdp. «Simest - commenta - si è rinnovata per rispondere concretamente alle esigenze delle imprese italiane alle prese con le sfide della transizione digitale ed ecologica. È di pochi giorni fa il nuovo pacchetto di misure in aiuto alle imprese esportatrici colpite dall'alluvione in Emilia-Romagna e Marche: 700milioni di euro complessivi, sotto forma di contributi a fondo perduto, finanziamenti a tasso agevolato e moratorie di 12 mesi sui pagamenti. Risposta rapida ed efficace, possibile grazie alla collaborazione sinergica con la Farnesina e con tutti gli attori del Sistema Paese».
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