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Resi, alle aziende italiane di moda costano fino a 30 euro l’uno

Un’indagine di Yocabè, azienda che supporta i brand nelle vendite online, evidenzia che il tasso di resi in Italia è del 16% ed è il più basso d’Europa

di Marta Casadei

Aggiornato alle ore 11:50 del 29 marzo 2023

(Krakenimages.com - stock.adobe.com)

4' di lettura

Il 16% degli acquisti fashion effettuati online in Italia viene rispedito al mittente. E ogni reso - che per policy, spesso, per il cliente finale è gratuito - costa alle aziende fino a 30 euro.

A tracciare questo quadro è uno studio di Yocabè, startup italiana fondata da Vito Perrone e Lorenzo Ciglione per supportare le aziende nella relazione con i marketplace (come Amazon e Zalando, ndr) - che ha analizzato l’andamento e i costi dei resi in Europa.

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In Italia pochi resi (ma anche bassa digitalizzazione)

L’Italia registra la percentuale di resi più bassa del Vecchio Continente: in Francia i prodotti rimandati indietro sono il 24%, in Germania il 44% e in Svizzera addirittura il 45 per cento. Una quota dunque ridotta che, però, rispecchia anche il ritardo italiano sul fronte della digitalizzazione.

La percentuale italiana è quasi in linea con quella registrata a livello generale negli Stati Uniti dove secondo la National Retail Federation e Appriss Retail nel 2022 gli americani hanno restituito prodotti (in questo caso non solo di moda) per oltre 816 miliardi di dollari, pari al 16,5% del valore totale degli acquisti di moda. Il valore dei resi online, negli Usa, nel 2022 è stata di quasi 213 miliardi di dollari.

Vestiti, pantaloni e scarpe: cosa si rispedisce al mittente

Le categorie che generano più resi a livello europeo sono abbigliamento (38%), scarpe (29%) e accessori (25%). In Italia - dove si restituiscono un quarto dei capi di abbigliamento acquistati, contro il 50% ( e oltre) che viene rispedito alle aziende in Germania e Svizzera - con un picco del 36% per i vestiti, del 31% dei pantaloni e del 29% per le gonne. I prodotti meno restituiti sono pullover e cardigan, con poco più del 10% di resi. Tra le calzature, invece, il tasso minore di resi si trova nel segmento sneakers, mentre sabot (38%) e ballerine (31%) sono le categorie più rispedite al mittente.

Il costo dei resi: dai 13 ai 30 euro a pacco

Se quello dei resi per il consumatore finale è sicuramente un tema importante in termini di costi, di tempi e di complessità della procedura, per l’azienda è soprattutto un tema di costi da sostenere. Secondo l’analisi di Yocabè ogni reso “nazionale” costa all’azienda italiana che ha venduto ( e quindi deve riprendersi) il prodotto circa 13 euro al pezzo. Ma il costo cambia nettamente se la merce è stata venduta oltre confine: ogni pacco reso dalla Germania costerebbe 23 euro, mentre si arriva a 30 euro a pacco se il prodotto viene rispedito dalla Svizzera.

Da qui la necessità di ridurre il più possibile l’incidenza dei resi sulle vendite: «Una presentazione efficace, immagini precise e accattivanti, strumenti di comparazione delle taglie: tecnologia e contenuti hanno un ruolo cruciale nel migliorare l'esperienza d'acquisto e nel ridurre le percentuali di reso - spiega Vito Perrone, ceo di Yocabè -. Ma non solo: la governance della reverse logistics, con l’ottimizzazione di tempi e costi di gestione dei resi e con la semplificazione delle procedure, aumenta la propensione all’acquisto mentre riduce i tempi di rimessa in vendita degli articoli». Perrone sottolinea anche l’importanza della business intelligence: «La raccolta dei dati relativi a vendite, logistica e resi e la corretta modellazione di tempi e costi di gestione sono alla base di un processo di ottimizzazione delle vendite online multi-canale e multi-nazione. Anche la previsione di destinazioni alternative per i resi ha un ruolo importante nell’ottimizzazione della gestione delle merci dal punto di consumo finale al punto di origine, per il riutilizzo o lo smaltimento».

Sempre secondo il report annuale della National Retail Federation americana l’impatto economico dei resi sui retailer è di 165 milioni di dollari ogni miliardo di dollari di vendite. Non è tutto: ogni 100 dollari di prodotti resi, i retailer perdono circa 10,4 dollari a causa delle frodi.

Le politiche dei brand e l’impatto ambientale

Il marchio austriaco di abbigliamento sostenibile The Slow Label sul proprio sito affronta il tema del costo dei resi indicando tutte le voci di spesa: «Per noi il costo di ogni reso è 10,90 euro circa di cui 1,50 di packaging, 2,20 di costo del magazzino, 5 euro di spedizione, 2,20 di costo del magazzino per la gestione del ritorno a cui si aggiungono circa 30 euro all’ora di costi di lavaggio, stiratura e riparazione».

Se, come già detto, molte aziende mantengono la politica del reso gratuito per stimolare i consumatori, altre hanno già iniziato a fare passi indietro: lo scorso anno, per esempio, Zara ha cominciato ad addebitare una piccola commissione (meno di 2 sterline) alle restituzioni dal Regno Unito che si appoggiano a punti di raccolta di terze parti (come le poste o i corrieri). I cambiamenti nelle politiche di reso sono spinti senza dubbio da fattori economici, ma tengono conto anche dell’impatto che i resi hanno sull’ambiente: oltre all’emissione di Co2 connessa al “viaggio di ritorno” del capo c’è il tema della sua destinazione. Che spesso è la discarica. L’azienda americana Optoro nel 2019 ( e quindi prima del boom dell’e-commerce legato alla pandemia) stimava che annualmente i resi creano più di 5 miliardi di dollari l’anno in rifiuti che finiscono nelle discariche e più di 15 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio.


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