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Resistenza agli antibiotici: in Italia 70mila morti per sepsi in un anno e un costo pro capite di 40 euro al 2050

È quanto emerge dal Libro bianco realizzato dall’Osservatorio nazionale sull’antimicrobico resistenza. L’Italia continua a trattare il 28,2% di patologie come influenza, raffreddore e laringotracheiti con antibiotici - in modo inappropriato - spende oltre 4mila euro solo di costo diretto per singola infezione correlata all’assistenza in terapia intensiva

di Barbara Gobbi

(LifeStoryStudio - stock.adobe.com)

4' di lettura

Sono state 70mila nel 2020 in Italia le morti per sepsi, pari a 200 decessi al giorno. È il dato-bandiera che emerge dal Libro bianco realizzato dall’Osservatorio nazionale sull’antimicrobico resistenza (Onsar), che fa capo all’ex presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e professore di Igiene alla Cattolica Walter Ricciardi. Secondo cui quella dell’Amr è «una situazione insopportabile soprattutto perché tutte queste morti possono essere prevenute con un’azione coordinata, strutturata, multidisciplinare, multi-istituzionale». Ma – aggiunge – «dobbiamo avere la volontà di agire».

Anche perché nel mondo più del 75% dei decessi sono causati da soltanto sei geni – escherichia coli in testa - su cui «dovrebbe concentrarsi un’azione importante e prioritaria. E invece, in particolare da noi, è sempre in crescita la casistica di antibiogrammi che non mostrano possibilità di cura e il paziente muore».

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Perdite di vite e perdite economiche

Dati drammatici sia per le perdite umane sia sul fronte economico: sono 11mila i decessi annui in Italia, quasi un terzo dell’area Ue in un contesto in cui la Amr è inquadrata come una delle dieci minacce per la salute umana dall’Organizzazione mondiale della sanità. E pure se il consumo di antibiotici in Italia mostra un trend in calo del 37,4% tra 2013 e 2021, questa diminuzione sarebbe secondo gli esperti in gran parte attribuibile all’impatto della pandemia: il nostro Paese che continua a trattare il 28,2% di patologie come influenza, raffreddore e laringotracheiti con antibiotici - in modo inappropriato - spende oltre 4mila euro solo di costo diretto per singola infezione correlata all’assistenza (ica) in terapia intensiva. Mentre il costo pro capite causato dall’Amr al 2050 è stimato sui 40 euro. Secondo gli scenari disegnati dall’Ocse, relativi alle conseguenze economiche dell’antibiotico-resistenza, a causa dell’Amr l’Italia rischia di scontare sempre al 2050 fino a 4.608 giorni di ricovero in più l’anno per 100.000 abitanti, per il trattamento delle complicazioni, e di essere in cima alla lista per perdita di produttività pro capite (-23,8 dollari) tra i paesi della Ue/Spazio economico europeo.

Modelli virtuosi anche in Europa

«“A distanza di anni – commenta Lord Jim O’Neill, l’economista britannico che nel 2016 guidò il lavoro che accese i riflettori sulla resistenza agli antibiotici - possiamo dire che i risultati di quell’allarme non sono quelli sperati. Sono però fiducioso nelle giovani generazioni e nello loro scelte di salute. L’esempio ci arriva dall’America dove hanno grande successo commerciale quanti vendono prodotti da allevamento o agricoltura senza uso di antibiotici. I modelli virtuosi, anche in Europa, ci sono e arrivano dall’Inghilterra, dalla Danimarca, dalla Scandinavia e anche dai Paesi Bassi, dove le politiche hanno favorito quell’approccio One Health responsabile che dovrebbe essere adottato». Mentre quanto alla ricerca che sarebbe necessaria su prodotti di scarso appeal per le aziende e che oggi invece langue rispetto ad altri ambiti cruciali come l’oncologia, «la farmaceutica – afferma O’Neill – avrebbe bisogno del suo Elon Musk, di un visionario capace di intercettare i bisogni innovando al punto da costringere gli altri a seguirlo sul terreno delle esigenze dei cittadini».

Italia virtuosa sulla carta

L’Italia, che si è dotata di un piano nazionale di contrasto dell’Amr fin dal 2017 (poi rinnovato) e che sposa l’approccio One Health, in teoria avrebbe le carte in regola. «Ma ancora oggi – riprende Ricciardi - migliaia di persone vanno in ospedale sperando di trovare una soluzione ai loro problemi e molto spesso ne escono morte. È una situazione che possiamo e dobbiamo affrontare, con soluzioni che non richiedono necessariamente costi ma organizzazione: maggiore appropriatezza nell’utilizzo degli antibiotici o sanificazione degli ambienti, degli strumenti e delle mani di operatori e caregiver non hanno un costo e da soli ridurrebbero in modo enorme il numero dei morti, le conseguenze economiche sul sistema sanitario sempre più stressato ma maggiori giornate di cura, e bersaglio di richieste di risarcimento». Si stima che nell’area Ue le attività di prevenzione (vaccinazioni incluse) e controllo delle infezioni potrebbero evitare circa 50mila decessi l’anno fino al 2050.

Sepsi: pericolo in ospedale

La sepsi è una condizione clinica particolarmente pericolosa, con una quota elevata di mortalità dovuta a infezioni causate da germi resistenti. Nel 2017 nel mondo circa 11 milioni di decessi sono dovuti alla sepsi come causa primaria o intermedia (la condizione patologica si trova nella catena di eventi che hanno portato alla morte), a fronte di circa 50 milioni di casi. Anche in Italia questa malattia è responsabile di un alto numero di decessi, tanto che nel 2020 i morti per sepsi come causa iniziale sono stati 8.281, con un incremento medio annuo del 4,8% tra il 2011 e il 2020 e con livelli più alti nelle Regioni del Nord-Est, seguite da quelle del Nord-Ovest, mentre i più bassi sono nelle Isole. I dati sui decessi sepsi-correlati (quelli per i quali il medico ha indicato nella scheda di morte la presenza di sepsi nel quadro morboso) sono 61.613, con un incremento medio annuo del 6,7% e anche in questo caso valori maggiori nelle Regioni del Nord-Est, seguite da quelle del Nord-Ovest.Più colpiti sono gli anziani: tra il 2011 e il 2020 l’aumento medio annuo per gli over 75 anni è stato del 5,5%, mentre per la popolazione tra i 20 e i 74 anni scende all’1,9%. L’analisi dei decessi sepsi-correlati replica questo quadro: l’incremento medio annuo tra le persone con oltre 75 anni si attesta al 7,3% medio annuo, mentre nella popolazione della fascia di età 20-74 anni è al 5,3%.

La dinamica della mortalità generale confrontata con quella legata alla sepsi conferma l’allarme su quest’ultima: il tasso standardizzato di mortalità per tutte le cause, dal 2011 al 2020, è diminuito dell’1,6% medio annuo, mentre quello della mortalità sepsi-correlata è aumentato del 6,7% medio annuo. Infine, l’88% dei decessi sepsi-correlati avviene in ospedale, con poche variazioni territoriali, percentuale quasi doppia rispetto a quanto si riscontra per la totalità dei decessi (nel 2020 il 41% dei decessi è avvenuto in ospedale).


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