Resta al 41-bis Giovanni Riina, anche senza ruoli di vertice è esponente di spicco di Cosa nostra
Il mutamento nell’assetto dei clan, durante i 23 anni di detenzione non scalfiscono la sua collocazione nella consorteria corleonese che aveva come capo dei capi il padre Salvatore Riina
di Patrizia Maciocchi
2' di lettura
I cambi avvenuti nell’assetto dei clan, e ai vertici della Cupola durante i 23 anni di detenzione di Giovanni Riina, classe ’76, non bastano ad escludere il ruolo nella consorteria mafiosa del figlio dei Capo dei capi Salvatore Riina e la sua pericolosità sociale. Con queste motivazioni la Corte di cassazione (sentenza 31835) ha respinto il ricorso di Giovanni Riina, contro la proroga del regime del carcere duro, il cosiddetto 41-bis.
Il nuovo assetto della Cupola
L’assenza di un ruolo di vertice ricoperto in passato e la “fluidità” della consorteria mafiosa che si è rinnovata anche dopo la morte di Totò Riina non assumono per i giudici «un rilevo in senso favorevole al ricorrente, non incidendo sul suo ruolo consortile e non consentendo di ritenere attenuati il giudizio di pericolosità sociale posto a fondamento dell’originaria applicazione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41-bis dell’Ordinamento penitenziario». Su Riina figlio, oltre ai gravissimi reati commessi prima della sua carcerazione, pesano anche delle attività di indagine svolte dalla Dda di Palermo che confermano il persistente attivismo dei componenti della famiglia Riina nel contesto mafioso isolano collegato a Cosa nostra. Il riferimento è agli esiti delle operazioni di polizia denominate “Grande passo 3” eseguita nel 2014 e “Cupola 2.0” compiuta a cavallo tra il 2018 e il 2019.
Un ruolo di rilievo anche se non di vertice
Per i giudici il ricorrente aveva una posizione di rilevo, anche se non di vertice, nell’ambiente della criminalità organizzata «nella quale ricopriva un ruolo significativo, conseguente al fatto che il padre, Salvatore Riina, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, era stato responsabile dello stesso raggruppamento consortile siciliano». Per la Cassazione non è dirimente l’atteggiamento «di apparente collaborazione con le istituzioni carcerarie assunto da Giovanni Riina durante la sua detenzione, dal quale non può evincersi, in assenza di comportamenti intramurari di natura dissociativa, l’interruzione di ogni rapporto con l’ambiente corleonese oggetto di vaglio, indispensabile per l’accoglimento delle censure difensive». I giudici di legittimità, nel dire no ad un allentamento delle restrizioni imposte dalla detenzione differenziata, ricordano che ai fini della proroga del 41-bis, non è necessario accertare la permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi concreti di dissociazione del condannato dalla stessa, ma basta «una potenzialità attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario».
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