Rete unica al calcio d’inizio: e ora lo Stato non rubi la palla
di Guido Gentili
2' di lettura
Un calcio d'inizio, promettente quanto si vuole, ma pur sempre il primo atto di una partita (complicata) tutta da giocare per la quale occorreranno tempo, equilibrio e determinazione insieme. Nulla, insomma, che si possa gestire all’insegna degli slogan e di soluzioni pasticciate. E dove lo Stato magari entra in campo con l'idea o il retro-pensiero di portarsi via il pallone.
Dopo valanghe annose di chiacchiere, la firma della lettera di intenti tra Tim e Cdp (il gigante pubblico controllato dal MEF e che assieme ad Enel controlla a sua volta Open Fiber) e il parallelo disco verde di Tim all’ngresso del fondo statunitense Kkr e di Fastweb in FiberCop (la società futura di Tim capofila del progetto rete unica che si fonderà con Open Fiber) aprono la grande danza che porterà la banda ultra-larga a casa di tutti gli utenti.
Cablare l’Italia. L’obiettivo è sacrosanto: è davvero un investimento “strategico” decisivo per l’ammodernamento del Paese in chiave di inclusione sociale e territoriale. Quanto sia necessario e quanto siamo in ritardo l’abbiamo visto con l’avvento di Covid che rende indispensabile ampliare l’offerta di questa tipologia di servizi. In una partita che, in ruoli diversi, vede interessati protagonisti pubblici e privati, a cominciare da Cdp, Tim, Enel, Fastweb, Vodafone, WindTre, Sky, Tiscali e i grandi fondi internazionali Kkr e Macquarie.
Trovare un punto di equilibrio tra Stato e mercato non è facile ma è l’unica strada percorribile. Se la lettera dei due ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli al cda di Tim per congelare il negoziato con Kkr aveva lasciato molto perplessi, un mese dopo si può dire che il lavoro sottotraccia tra Gualtieri e l’ad di Tim Luigi Gubitosi e, in parallelo, il confronto tra Gubitosi e il capo azienda di Cdp Fabrizio Palermo, hanno permesso di arrivare al calcio d’inizio di ieri. Non era scontato e va sottolineato.
La lettera d’intenti delinea un progetto possibile, non lo esprime in tutti i suoi dettagli industriali e di governance. Si prospetta (sul piano dovranno poi pronunciarsi le Authority competenti) un nuovo modello ibrido pubblico-privato nel quale Tim mantiene la maggioranza e lo Stato un controllo forte su determinati obiettivi.
In che senso? Nell’intervista al Sole 24 Ore di sabato scorso, il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli ha detto che nella rete unica «dovranno entrare anche 5G, data center e server di prossimità. La governance prevede la regia degli investimenti allo Stato».
Resta il fatto che si tratta di investimenti di Tim, forte della sua maggioranza, in un progetto condiviso, fermo restando, ad esempio, il diritto di veto di Cdp sulle operazioni strategiche. E ferme restando la neutralità della rete e la necessità di Tim di assicurare adeguati ritorni finanziari ai suoi azionisti. Da Kkr a Cdp per cominciare.
Insomma, è una scommessa senza precedenti, tutta da verificare sul campo nel momento, non favorevole, in cui un certo statalismo rampante e pervasivo ha ripreso a correre. Ma è altrettanto un fatto che, dopo gli anni perduti, cablare l’Italia è diventato un obiettivo realistico.
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