Rete unica alla resa dei conti: da colmare c’è un gap da 10 miliardi
La distanza che separa le richieste di Vivendi e la disponibilità di Cdp
di Andrea Biondi
I punti chiave
- Cdp e Open Fiber
- Telecom e Vivendi
- La tensione crescente
4' di lettura
Dieci miliardi. Almeno. È la distanza, non piccola, che va colmata per centrare il traguardo della cosiddetta rete unica in cui unire gli asset di rete di Tim e Open Fiber. Chi vende (e qui il pensiero va a Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,75%) chiede oltre 30 miliardi, basati su una valutazione fatta da Rothschild (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) da cui ha fatto capire di non essere intenzionata a recedere. Chi compra (e qui la palla va nel campo di Cdp azionista al 60% di Open Fiber e al 10% di Tim) sembrerebbe disposto a offrirne al massimo 20. Dopo mesi di trattative e approfondimenti, a pochi giorni dal voto emerge nella brutalità dei numeri il principale ostacolo – puramente finanziario – che resta da superare per la rete unica. Sempre che il nuovo governo, con le armi della politica, non intenda provare a superarlo.
Cdp e Open Fiber
Dopo il memorandum of understanding firmato a fine maggio da Tim, Cdp, Open Fiber, Kkr e Macquarie la palla è nel campo di Cassa depositi e prestiti e della Open Fiber fra i cui soci c’è Macquarie al 40 per cento. L’offerta per acquistare l’asset della rete da Tim, in preparazione quindi da settimane, dovrebbe arrivare, come anticipato sul Sole 24 Ore del 6 settembre, la settimana dopo le elezioni (e prima del Cda ordinario Tim fissato per il 29 settembre. È già trapelato, però, che sul tavolo ci sarà una somma che sarà anche inferiore ai 20 miliardi. Un’offerta costruita valutando ciò che si va a comprare, ma anche ciò che si ha già in casa, cioè l’infrastruttura di Open Fiber: qui l'ultimo prezzo è stato fatto pochi mesi fa con il contributo (al rialzo) determinante di Enel, che è uscita vendendo il 10% a Cdp (salita al 60%) e il 40% a Macquarie (a multipli di 20 volte l’Ebitda) che da investitore tipicamente finanziario per definizione dovrebbe essere allergico a minusvalenze.
Telecom e Vivendi
Sull’altro campo c’è chi vende: Telecom e il socio di maggioranza Vivendi. Quest’ultimo valuta gli asset oltre 30 miliardi, cifra emersa (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) a valle di un lavoro di Rothschild illustrato anche al Cda Tim nelle scorse settimane che non va su una valutazione dell’asset stand alone, ma proprio nell’ottica di una fusione. Sinergie, il nuovo status (penalizzante) di Tim incumbent senza rete (unico caso in Europa) e calcoli fatti utilizzando la metodologia del cosiddetto “dividend discount model” portano a quella cifra. Che Vivendi intende far valere in sede negoziale Di certo per i francesi la gestione dell’affaire rete è decisiva, visto che – nonostante il piano di diversificazione e sviluppo impostato dall’ad Labirola – l’infrastruttura resta una delle parti più pregiate di Telecom e determinanti ai fini della determinazione del suo valore. Vivendi è al tavolo evidentemente con l’intento di ritrovare valore in quel suo investimento pagato 1,07 euro per azione e ora iscritto a valore di carico a 0,657 euro.
La tensione crescente
Nel Cda Tim sono rappresentate entrambe le parti in gioco, visto che nel board oltre ai rappresentnati di Vivendi, fra cui il ceo Arnaud de Puyfontaine, siede anche il presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini. Un assetto che dura da mesi e finora è servito anche a far lavorare le diplomazie, ma che nelle ultime settimane è divenuto oggetto di crescenti polemiche a firma di Vivendi, che hanno visto nel mirino lo stesso Gorno Tempini per il doppio ruolo. Ma con la lettera spedita dal socio francese e arrivata, come riportato sul Sole 24 Ore di ieri, sul tavolo del board Tim martedì, nell’obiettivo sembra essere entrato anche il presidente di Tim Salvatore Rossi, a cui spetta la gestione della governance. Che Vivendi, a quanto ricostruito, ha giudicato non adeguata, lamentando un atteggiamento non collaborativo. Il risultato immediato di tutto questo è un titolo Tim che ha perso a Piazza Affari un altro 5,1% attestandosi a 0,1916 euro, scivolando per la prima volta nella sua storia sotto i 20 centesimi per azione. La capitalizzazione è ormai a 4,2 miliardi. L’accumulo di tensioni non sta aiutando il titolo il Borsa che peraltro già sconta la caduta del Governo Draghi come ulteriore elemento d’incertezza che grava sulla realizzazione della rete unica. Da Fratelli d’Italia, partito che insieme a Forta Italia e Lega viene dato per avvantaggiato nel sondaggi sull’esito delle elezioni del 25 settembre, la leader Giorgia Meloni e Alessio Butti, responsabile delle tematiche riguardanti i media e le Tlc, hanno pubblicamente puntualizzato che nella loro visione la rete deve rimanere in capo a Tim e casomai dovrà essere l’ex monopolista a portare sotto i sè la rete di Open Fiber all’interno di un piano che preveda la vendita dei servizi e di Tim Brasil.
Percorso accidentato quindi. Con Tim che, nel frattempo, secondo quanto riportato da Reuters avvierà a breve un processo formale per selezionare un partner di minoranza per EnterpriseCo, la società che raggrupperà i servizi di connettività per i grandi clienti e le attività cloud, cybersecurity e Internet of Thing. Per la quale si era fatta avanti Cvc, ma con un’offerta ritenuta evidentemente non adeguata. Da qui l’avvio prossimo del beauty contest.
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