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Retroattività, discriminazioni e azzardo: la riforma Npl diventa un boomerang

Il disegno di legge per dare ai debitori la possibilità di ricomprare il credito a sconto preoccupa il mercato. Ecco le voci dei protagonisti

di Luca Davi e Morya Longo

(Armando Dadi / AGF)

5' di lettura

«Se ne sconsiglia vivamente l’applicazione sulle cessioni già effettuate». Più chiara di così la Banca d’Italia non poteva essere. Era il 2020 quando, in una memoria presentata al Senato, Via Nazionale sottolineava le criticità che si ponevano con il disegno di legge che cercava di venire in aiuto dei debitori in sofferenza, permettendo loro di ricomprare il loro debito a prezzi di saldo. Quando, nella nuova legislatura, la stessa identica proposta (portata avanti sempre dall’attuale ministro Adolfo Urso) sembrava entrare nel decreto Omnibus del 7 agosto, sul mercato è partito il panico. Ora che è tornata ad essere un disegno di legge, da discutere in Parlamento e non automaticamente in vigore come un decreto, c’è più serenità tra gli addetti ai lavori. Soprattutto dopo che la Premier Meloni ha detto che sul tema dei crediti deteriorati «non ci sono provvedimenti in rampa di lancio». Così in pochi credono che il Ddl veda la luce nei contorni ipotizzati inizialmente. Ma il punto resta: la proposta - a detta degli addetti ai lavori - ha buone intenzioni, ma nei fatti rischia di diventare un boomerang.

La proposta riguarda solo i crediti fino a 25 milioni che sono stati catalogati in sofferenza (Npl) tra il 2018 e il 2021 e che poi sono stati venduti a prezzi di saldo dalle banche a investitori specializzati. Ebbene: i debitori morosi che rientrano in queste caratteristiche - secondo il disegno di legge - avrebbero la possibilità di ricomprare il loro stesso debito al prezzo con cui la banca l’ha venduto (cioè a forte sconto), maggiorato del 20%. Ma se l’idea è socialmente lodevole, il rischio è che gli effetti collaterali siano enormi. Il Sole 24 Ore ha fatto un giro tra top manager del settore, avvocati e agenzie di rating e sono emerse molte criticità.

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Il nodo retroattività

Il primo problema è che il disegno di legge riguarda i crediti entrati in sofferenza tra il 2018 e il 2021: dunque è retroattivo. «Il disegno di legge propone una soluzione che non è logica - commenta il presidente di Unirec (Associazione delle società di tutela del credito) Marcello Grimaldi -: avendo effetti retroattivi, compromette la certezza del diritto e dunque ha effetti negativi su tutto il mercato del credito deteriorato». Anche Gregorio Consoli, managing partner Chiomenti e tra i principali legali attivi nel settore delle istituzioni finanziarie, solleva lo stesso problema: così come previsto oggi, il disegno di legge presenta profili di incoerenza con i principi chiave dell’ordinamento civilistico nazionale e comunitario, perché «inciderebbe in maniera significativa sulla certezza dei diritti di credito, sulla libertà di iniziativa economica e sulla libera circolazione dei capitali in Italia e in Europa».

Tanti i potenziali effetti negativi. Il primo lo evidenzia Scope Ratings: «Per la natura retroattiva della proposta, l’appetito per i crediti deteriorati italiani potrebbe cadere». E questo rischia di compromettere la capacità delle banche di pulire i bilanci. «Nella parte in cui la nuova disciplina prevede di intervenire su operazioni di cessione già effettuate, andrebbe ad inserirsi in situazioni già stabilizzatesi ingenerando significative complessità attuative e interpretative», aggiunge Norman Pepe, partner Ils. Il secondo effetto negativo lo sottolinea Grimaldi: «I business plan delle cartolarizzazioni di crediti deteriorati sono stati predisposti negli anni passati su presupposti che questa proposta di legge cambierebbe. Questo renderebbe dunque più difficile rispettarli». E dato che queste cartolarizzazioni hanno molte volte la garanzia statale (Gacs), il rischio è che alla fine a pagare il conto sia lo Stato.

Il terzo problema lo evidenzia Sergio Bommarito, presidente e Ceo del gruppo Fire, uno dei maggiori gruppi di gestione del credito in Italia: «La proposta compromette il ruolo svolto dai servicer che mediano tra il diritto del creditore al pagamento e le motivazioni avanzate dal debitore. Basti pensare che nel caso di esercizio del diritto di opzione, di fatto il Servicer non sarebbe più investito della gestione e della possibilità di trovare soluzioni ritagliate sulle specificità della singola posizione, con impatto diretto sotto il profilo economico sui business plan».

Discriminazione tra debitori

La proposta ha un nobile obiettivo: aiutare le famiglie in difficoltà con debiti troppo grandi. Il problema è che, così com’è scritta, rischia di non raggiungerlo (se non per poche persone) e di discriminare tra debitori morosi. «Crediamo che un numero relativamente esiguo di persone riuscirà a esercitare l’opzione prevista dalla proposta - scrivono gli analisti di Scope Ratings -. Questo perché il disegno di legge prevede che i debitori abbiano solo 30 giorni dopo la notifica per esercitare il diritto di riacquistare il debito, e solo 90 giorni per pagare». Non solo: la proposta tratta tutti i debitori ceduti (solo loro) come se fossero tutti uguali. Ma non è così: non tutti hanno la stessa storia o le stesse condotte. Non tutti meritano le stesse attenzioni. C’è poi un altro problema: l’opzione è riservata solo ai debiti venduti dalle banche. Non a tutti. «Questo significa che i debitori il cui credito non è stato ceduto dalla banca non ha questa possibilità», osserva Grimaldi di Unirec.

Azzardo morale

C’è poi un altro tema: l’azzardo morale. «Il rischio è che la logica del condono favorisca quelli che l’Eba definisce i default strategici - osserva Grimaldi -. Alcuni potrebbero smettere di pagare i propri debiti volutamente, per poi ricomprarli a prezzi di saldo. È vero che il fatto che la norma riguardi le sofferenze passate limita questo rischio, ma non lo annulla». E Bommarito di Fire conferma che un effetto già si vede: «Già oggi in molti casi i debitori rinviano i pagamenti sul presupposto del condono di cui si legge ampiamente sui giornali».

I rischi concreti

La riforma annunciata ha avuto già anche l’effetto di rallentare le cessioni di crediti deteriorati da parte delle banche. «Gli operatori sembrano percepire il rischio che il provvedimento introduca gravi elementi di incertezza e di rigidità nonché complessità operative che potrebbero disincentivare la realizzazione di ulteriori operazioni di cessione di Npl o renderle, nel migliore dei casi, più onerose e quindi meno convenienti per le banche cedenti», aggiunge Pepe. Per gli investitori c’è la necessità di «comprendere la reale portata delle misure proposte – spiega Roberto Maffioletti, Associate partner di Kpmg – perché si inserirebbe nelle valutazioni un ulteriore elemento di incertezza come anche un rischio di incremento della litigiosità tra le parti». Se mai passasse tale misura, aggiunge Domenico Torini, partner Kpmg e Responsabile portfolio solution group «ci sarebbe un blocco intero per il sistema: assisteremmo a una distorsione della competitività che, a sua volta, genererebbe una rarefazione degli investitori, con conseguente forte limitazione della capacità di derisking del sistema bancario italiano».

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