Riarmo? Prima una nuova Comunità europea di difesa
Le crisi internazionali come questo in Ucraina chiamano in causa la fragilità politica dell'Unione Europea
di Paola Olla*
6' di lettura
“Se è buono per l'America è buono per il mondo”. L'aspetto forse più problematico delle relazioni euro-atlantiche è la fedeltà della Casa Bianca, non importa chi la abiti, a questo luogo comune assurto negli ultimi cent'anni a principio guida della politica estera statunitense.
William Fulbright nel suo illuminante libro The Arrogance of Power, pubblicato nel 1966, quando la guerra in Vietnam entrava nella sua fase più calda, introduce così la questione: “L'America è una grande democrazia e non c'è niente di male se vuole il mondo a sua immagine. Prima però deve domandarsi se davvero il mondo chiede di essere cambiato o almeno dovrebbe avere le idee chiare su come è il mondo e su che cosa è meglio fare per raggiungere il risultato senza far male a se stessa e agli altri”.
In effetti gli Stati Uniti hanno del mondo una visione tutta loro, spesso parecchio lontana dalla realtà delle cose. I mezzi di cui si servono per trasformarlo raramente conseguono buoni risultati e il prezzo che essi pagano e fanno sopportare agli altri appare sconcertante.
L'Afganistan o l' Iraq o i paesi arabi toccati dalle “primavere” ispirate da loro ne sono un esempio. Eppure, nonostante questi errori l'America conserva una sua straordinaria grandezza. Che non è fatta soltanto di potenza economica e militare ma anche di altri elementi che in tanti, anche tra i suoi più accaniti detrattori, vorrebbe fare propri. Per imitazione, magari, non necessariamente per imposizione.
Questo dualismo ha improntato anche la conduzione dell'Alleanza atlantica, provocando qualche crisi ma mai scuotimenti suscettibili di metterne in discussione i fondamenti e la necessità. Bene così. Non è stata positiva invece l'assenza di un franco confronto tra gli alleati nella sua fase più delicata: il passaggio da un mondo semplificato dalla logica dei blocchi ideologici al mondo senza muri, ma non sufficientemente codificato, della liberal-democrazia trionfante. Sconfitto il comunismo, imploso il nemico sovietico, un aggiornamento della partnership atlantica in termini di valori, di direzione e di obbiettivi l'avrebbe irrobustita e resa più credibile e preparata alle sfide largamente sconosciute della globalizzazione.
In questo silenzio ha potuto emergere il naturale unilateralismo degli Stati Uniti ed è maturata la rinuncia dell'Europa alle responsabilità di cui si sarebbe dovuta fare carico. Fu un'occasione mancata da parte di entrambi e a pagarne le conseguenze sono stati in tanti.
Le crisi internazionali che si sono concluse in modo nefasto chiamano in causa la fragilità politica dell'Unione Europea tanto quanto la prepotenza degli Stati Uniti. Sia chiaro, l'Alleanza atlantica non è reversibile. Deve compiere però un salto di qualità e di maturità e lo slancio deve venire dall'Unione europea.
In realtà non è conveniente per nessuno nascondere le ambiguità o aggirarle per il solo fatto che si è in presenza di un'emergenza drammatica. Anzi, proprio adesso dovrebbero essere affrontate e anche spiegate alla gente comune. Il rischio, altrimenti, è che per gli europei la partnership atlantica smarrisca il suo senso originario e si prefiguri più come un pericolo che come una fonte di sicurezza.
La solidarietà col popolo ucraino è autentica e generosa in Italia come in tutti gli angoli d'Europa. Non è però sufficiente proclamare “lo vuole la Nato” per sollecitare una reazione dei cittadini europei altrettanto univoca nei confronti di scelte le cui implicazioni toccano la loro vita quotidiana, i bisogni non soddisfatti, le attese frustrate. Toccano, e non se ne parla, le speranze e le paure dei giovani, assediati prima (e ancora) dalla pandemia e oggi terrorizzati dalla prospettiva di un ripristino della leva obbligatoria di cui finora neppure conoscevano l'esistenza.
Già, la NATO. Allo stato delle cose non c'è che questo argomento. Ma se è così perché allora non spiegare come non sia affatto scontato l'intervento armato degli Stati Uniti in caso di aggressione a un altro contraente del Trattato Nord-atlantico? Perché non chiarire che proprio l'art. 5 sacralizzato da Biden obbliga le parti a soccorrere l'aggredito ma non necessariamente all'uso della forza? Le opinioni pubbliche, che confidano, e giustamente, nell'aiuto del grande alleato devono sapere che proprio in virtù del sacro articolo 5 è diritto di Washington, come di ogni altro contraente, scegliere se mettere “gli stivali sul terreno” oppure limitarsi a fornire aiuto da lontano.
La differenza non è di poco conto. I governi francesi la patiscono fin dalle origini dell'Alleanza. A tal punto da decidere, per precauzione, di dotare la Francia dell'arma nucleare. Un chiarimento su questo punto avrebbe una duplice efficacia, specie se accompagnato dalla prospettiva di un'Organizzazione di difesa gestita e diretta da un'istituzione politica della UE. Nei paesi riluttanti, rimuoverebbe molti ostacoli sul cammino dell'aumento delle spese militari e Biden potrebbe ricavarne qualche motivo per frenare epiteti e intemperanze di cui non sarebbero gli Stati Uniti i primi a rispondere.
L'impresa non è facile. Presuppone un'unità di intenti dell'Unione europea difficile da raggiungere ma lo sforzo va fatto. L'Europa, a differenza dell'America, non è una nazione, ma un insieme di nazioni, ciascuna con la propria storia, le proprie paure e ambizioni, i propri nemici storici, che come spesso succede sono quelli della porta accanto. La stessa Unione europea è un organismo ancora fragile. Solo pochi anni fa ha rischiato di infrangersi sotto la spinta di ritrovate o nuove pulsioni nazionaliste attizzate dalle false promesse di movimenti sovranisti i quali, non avendo mai condiviso l'utopia unionista, facilmente hanno aperto brecce alla penetrazione di suggestioni esterne volte a spegnerne l'afflato.
Gli europei hanno bisogno, tutti, di essere rassicurati dall'ombrello atlantico. Non tutti però esprimono questa necessità allo stesso modo. I cittadini dell'Est, concentrati a difendersi dai rigurgiti di potenza del loro principale nemico storico, invocano una NATO più coinvolta e più armata. I cittadini dell'Ovest conoscono bene i pericoli insiti nei nazionalismi armati.
Ognuno ha i sui spettri ed è compito dell'Unione Europea dissiparli. Ma le ombre del passato non si dissolvono con le rimozioni e con la scelta comoda, ma estremamente pericolosa, del riarmo delle nazioni europee in assenza di un alveo politico comunitario al quale ricondurlo e di un esecutivo che possa decidere quando e come utilizzarlo.
Un irrobustimento delle forze armate nazionali inquadrato in un contesto politico e istituzionale europeo e non solo in quello atlantico, difficilmente susciterebbe le preoccupazioni che solleva oggi nelle opinioni pubbliche la proposta di un aumento delle spese militari argomentata con l'emergenza del colpo di forza di Putin e con gli obblighi derivanti dall'appartenenza alla NATO.
E qui tornano in gioco gli Stati Uniti e la percezione che molti cittadini dell'occidente europeo hanno della politica internazionale di Washington e degli scopi che essa si propone. Per questi cittadini, NATO vuol dire Stati Uniti, e degli “americani” non si fidano del tutto. Non credono che i loro interessi coincidano sempre con quelli europei. Per molti di loro gli Stati Uniti non sono più, e comunque non soltanto, il soccorritore che ha liberato l'Europa dal nazifascismo e l'ha aiutata a rinascere. Piuttosto, sono quelli che iniziano le guerre, per lo più illegali, e poi o le perdono o le lasciano marcire e la NATO è quella che ha ridotto la Libia nelle condizioni in cui è oggi pur di strapparla alle grinfie di Gheddafi. E tra questi cittadini non mancano coloro i quali temono che la stessa sorte toccherà alla Russia se l'idea di logorare Putin fino a distruggerlo prenderà corpo. C'è perfino chi sospetta che sia questa la vera ragione del sostegno della NATO agli ucraini.
Si dirà, roba da social. Ed è così. La grande informazione questi argomenti non li tocca e non solo in Italia: c'è un aggressore, c'è una vittima ed è quanto deve bastare perché gli europei spendano di più in armamenti. E no che non basta. Così facendo si lascia spazio a elucubrazioni e illazioni che non fanno bene né al consenso di cui i governi necessitano in questa congiuntura né al mantenimento in salute del rapporto euro-statunitense.
Nella reazione alla pandemia la UE è stata straordinaria, veloce ed efficace. Dovrebbe esserlo altrettanto e a maggior ragione nel dotarsi di una politica estera e di sicurezza credibile e assertiva. Occorre insomma una nuova Comunità europea di difesa e i De Gasperi e i Pleven che si prendano la briga di metterla a punto e di portarla, finalmente, al traguardo delle ratifiche parlamentari.
Gli Stati Uniti, dice GB Show, come i bambini e gli ubriachi, hanno un angioletto che li protegge qualsiasi stupidata facciano. L'Europa, dice la storia, non gode dello stesso privilegio. Deve per forza imparare dai propri errori.
*Storica delle relazioni internazionali, già docente dell’università Statale di Milano
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