sharing economy

Riccardo, il tassista di Torino che ha scelto di lavorare per Uber

di Filomena Greco

3' di lettura

Riccardo è un tassista ed è stato tra i primi a Torino a scegliere di lavorare sulla piattaforma lanciata da Uber in via sperimentale un paio di settimane fa. «Questo servizio è attivo dal 4 dicembre ed è riservato ai tassisti veri» spiega Riccardo che in realtà lavora anche per la piattaforma MyTaxy, presente in quattro città italiane, Torino, Milano, Roma e Napoli. Il telefonino da una parte, il tablet dall’altra, Riccardo incrocia le chiamate sulle due piazze virtuali, fa la sua corsa e poi sulla piattaforma dà un punteggio al cliente trasportato. Un classico in epoca di sharing economy.

In realtà, dietro la presenza di Uber in Italia c’è una lunga vicenda legale che la società sintetizza così sul suo sito: «Nel 205 UberPOP chiude su richiesta del Tribunale di Milano. UberBLACK continua ad operare a Roma e Milano». Due anni dopo, nel 2017, «Il Tribunale di Roma sancisce con un’ordinanza la piena legittimità di UberBLACK e affini. Operiamo in Italia come UberBLACK, UberLUX e UberVAN a Roma e Milano attraverso autisti professionisti». Significa che Uber è presente a Roma e Milano con un servizio fatto da autisti professionisti mentre Torino è la prima città in Italia, la sesta in Europa, dopo Berlino, Dusseldorf, Atene, Dublino e Istanbul, dove è stato lanciato via sperimentale il servizio con i tassisti.

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«Queste piattaforme – sintetizza Riccardo – sono viste malissimo dalle cooperative di tassisti che denunciano le multinazionali come Uber accusandole di sottrarre, in realtà il sistema del trasporto con taxi tradizionale è un sistema chiuso, corporativo, a Torino il mercato è monopolizzato. Le due cooperative di tassisti si sono messe insieme qualche anno fa e non c’è alcuna democrazia». Il punto, aggiunge Riccardo, è che il sistema va aperto: «Mi sta bene che i tassisti protestino perché i privati si mettono in concorrenza con loro, ma in questo caso, il problema è un altro, credo sia necessario offrire un servizio innovativo e spesso le cooperative si mettono di traverso».

Effettivamente, quando Uber ha ufficializzato la sperimentazione della piattaforma di UberTaxi a Torino, a stretto giro è arrivata una nota da parte della cooperativa Taxi Torino a cui aderiscono 1.400 tassisti in città: «La proposta di Uber è quantomeno in ritardo» scrivono mentre ironicamente ringraziano il fondatore della multinazionale californiana Travis Kalanick di aver scelto Torino come unica città italiana dove sperimentare il servizio. Quello dei tassisti, dicono, è un servizio pubblico e non un mercato: «I professionisti che fanno capo alla centrale taxi garantiscono la copertura territoriale dell’area metropolitana e sub-metropolitana, assicurano il servizio al cittadino h24 e rispettano tariffe che non vengano maggiorate in base all’utilizzo o alle condizioni atmosferiche, come fanno invece gli algoritmi di certe app».

Dal canto loro, le app per il trasporto «hanno invece un grande problema di “sgancio” del tassista da regole condivise – aggiungono –, tanto è vero che in Italia la percentuale del “rimbalzo” delle corse dalle app è ancora molto alta. Se infatti è vero che l’utente può vedere il costo della corsa e il tragitto prima che arrivi il veicolo è vero anche il contrario e il tassista può scegliere di non effettuare corse poco vantaggiose». Insomma una “guerra” commerciale che va avanti da anni.

«Io sono un libero professionista, con licenza, e ho il sacrosanto diritto di poter decidere con chi lavorare, nessuno può limitare questo diritto» insiste Riccardo, che racconta: «Ho conosciuto il servizio grazie ad un amico che lavora per Uber X, servizio di consegna a domicilio per la ristorazione, e da lì ho iniziato. Queste scelte però sono considerate in maniera molto negativa da parte della cooperativa, che però dovrà capire che questo genere di piattaforma, Uber come MyTaxy, sono destinate a crescere». Il monopolio nel settore, aggiunge Riccardo, «è un problema che si riscontra pesantemente a Torino».

Riccardo ne fa una questione di principio, ma è anche una faccenda di business? Si lavora di più e meglio sulle piattaforme? «Si, lavoro di più» dice. La questione è aperta, tanto sul mercato quanto a livello legale, viste le ultime decisioni dell’Antitrust in relazione alla piattaforma Mytaxi, di proprietà del Gruppo Daimler. «Uber si è adeguato – conclude Riccardo, pronto a ripartire – ed è giusto che possa svilupparsi sul mercato come servizio alternativo, le persone vogliono sapere chi viene a prenderli, quanto costa la corsa, parlare direttamente con l’autista».

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