Riconvertire il welfare alle politiche per l’impiego
Un vero sistema di welfare dovrebbe prendersi carico di chi perde il lavoro, assisterlo nel mantenimeno di una forma di reddito e operare in modo da rendere possibile il recupero di un’occasione di impiego. Si chiamano politiche attive del lavoro e sono quelle che servono da decenni
di Alberto Orioli
3' di lettura
Delle aziende zombie e del rischio di salvare il non salvabile in piena pandemia ha parlato il presidente incaricato Mario Draghi nel documento che ha predisposto insieme a Ragurham Rajan per il G30. Sono le imprese che hanno ormai perso il mercato o il prodotto o il servizio e non hanno più la possibilità di ripartire. In questo caso conta la distruzione creatrice, che è parte del ciclo della vita economica, come ha ricordato lo stesso Draghi in più occasioni.
Per i banchieri centrali è terminologia comune. In genere dicono: lasciare le imprese zombie al loro destino, risvegliare invece le belle addormentate nel bosco, vale a dire le aziende sane ma in sofferenza temporanea per la pandemia.
La fotografia che la cassa integrazione fa del Paese imprigionato nel maleficio della pandemia è quella di un mondo sospeso, angosciato e irrazionale.
Sono stati spesi 19 miliardi per le varie forme di cassa integrazione e hanno interessato quasi sette milioni di persone. Ma è altrettanto vero che c’è stata una corsa all’accaparramento delle ore di cassa, perchè il tiraggio effettivo è del 42% rispetto alle ore effettivamente prenotate.
Significa che il mondo delle produzione e dei servizi non ha chiari i confini dell’orizzonte, non riscontra un percorso di recupero di fiducia, prospetta tempi che non si attende saranno mai migliori.
L’attore pubblico in questa fase considera prioritario affidare all’azienda le sorti degli addetti, anche in caso di default reale pur se non formalmente conclamato.
L’impresa , anche quella zombie, è la zattera su cui un sistema pubblico di ammortizzatori lascia le vittime della congiuntura economica avversa.
Ed è evidente che questa non è la migliore risposta. Il Covid ha messo a nudo le lacune di un sistema figlio di un’idea tardo ottocentesca dell’impresa. Che ha spostato ogni risorsa pubblica a congegnare un sistema di welfare orientato solo alla previdenza.
Un vero sistema di welfare dovrebbe prendersi carico di chi perde il lavoro, assisterlo nel mantenimeno di una forma di reddito e operare in modo da rendere possibile il recupero di un’occasione di impiego. Si chiamano politiche attive del lavoro e sono quelle che servono da decenni. Lasciare alle imprese, che non sono nemmeno più tali, un carico anomalo di personale non è la risposta giusta, innazitutto per il personale.
Purtroppo il discorso pubblico sulle politiche attive del lavoro è stato banalizzato e distorto dalla discussione sul reddito di cittadinanza. Se ha un senso immaginare un sostegno al reddito anti povertà, non altrettanto ha una ragion d’essere la grottesca caricatura di un software in grado di segnalare al telefonino dei cittadini le opportunità di lavoro delle propria zona.
Che sarebbe l’ideale, ma purtroppo ancora non esiste. Né esisterà a breve.
Parlare di politiche attive del lavoro significa proprio questo: creare le condizioni perchè esistano dei servizi efficienti per aumentare la forza dei curricula di chi non ha lavoro, per mettere in campo banche dati dove far dialogare finalmente domanda e offerta. Senza dimenticare che, nel corso degli anni, le agenzie private hanno assunto un ruolo importante e professionale, prima ostracizzato dall’impostazione ideologica dei 5 Stelle, poi recuperato quando si è capito che la barca affondava.
Tra le tante riforme che l’Europa chiede all’Italia come completamento del Recovery plan c’è anche questa delle politiche attive del lavoro. Se sarà Draghi il prossimo presidente del Consiglio avrà modo di applicare ciò che lucidamente analizzava da banchiere centrale e da studioso. Ma molto dipenderà dalle aspettative e dalle ingerenze dei partiti che comporranno la sua maggioranza. Che, detto non troppo tra parentesi, sono tutti responsabili delle politiche attive ancora inesistenti.
loading...