Ridracoli nel mirino, ma la diga mitiga alluvioni e siccità
Finita sotto le critiche degli ambientalisti, è all’infrastruttura che si deve l’acqua potabile in agosto per cittadini e turisti in Riviera. Allo studio il potenziamento del sistema idrico
di Ilaria Vesentini
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Anche allora furono gli ambientalisti i principali oppositori dell’infrastruttura “grigia” e servirono anni di discussioni e confronti con le comunità locali per arrivare ad avviare il cantiere, nel 1975. Eppure dopo oltre 35 anni di attività è evidente a tutti che si deve alla Diga di Ridracoli, una delle ultime dighe costruite in Italia - assieme a quella del Bilancino a Firenze – il fatto che la Romagna abbia acqua potabile a disposizione anche in agosto, non solo per il milione di abitanti, ma per le decine di milioni di turisti che ogni estate si riversano in Riviera. E che se invece di avere un invaso di soli 33 milioni di mc di acqua fosse stata più capiente avrebbe mitigato molto meglio le inondazioni di queste ultime settimane. Perché già a inizio maggio, dopo la prima alluvione, la diga era così piena da tracimare.
«Si sapeva fin dall’inizio che quel volume di invaso era sottodimensionato, ma fu il risultato di un compromesso dovuto al contesto storico: dieci anni prima era accaduto il disastro del Vajont e l’opinione pubblica osteggiava l’opera. Stiamo studiando da diversi anni come aumentare i prelievi di acqua per affrontare i periodi di siccità sempre più frequenti; e come e dove realizzare un secondo invaso di stoccaggio da almeno 20-25 milioni di mc di acqua, per avere più scorte, gestire meglio i fenomeni di flash flood che abbiamo vissuto in questi giorni e per generare energia idroelettrica. Potenziando così non solo la sicurezza idrica ma anche l’autosufficienza energetica del nostro territorio». A parlare è Tonino Bernabè, presidente di Romagna Acque-Società delle fonti, Spa pubblica, controllata al 100% da una cinquantina di sindaci tra Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, riunitisi nel ’66 per rispondere al problema della sete dei loro territori paludosi. Si deve a loro - alla loro determinazione, coesione e lungimiranza - il progetto di Ridracoli.
Una diga ad arco-gravità alta oltre 103 metri, un investimento di 500 miliardi di vecchie lire, durato sette anni di cantieri (e altri 5 per la messa in funzione, avvenuta nel 1987), che ha portato una colata di 600mila metri cubi di calcestruzzo in mezzo all’Appenino tosco-emiliano, al fine di sbarrare il corso del fiume Bidente, nella frazione di Ridracoli a Bagno di Romagna (Forlì-Cesena), creando un lago artificiale all’interno delle foreste casentinesi, che alimenta l’acquedotto e arriva fino alle coste romagnole. Garantendo in media 60 milioni di mc di acqua potabile ogni anno, oltre la metà del fabbisogno romagnolo (110 milioni mc), nonché la sopravvivenza di specie rare, «come la salamandrina dagli occhiali e l’ululone dal ventre giallo, che oggi grazie all’invaso prolificano per la costante disponibilità d’acqua. L’area è diventa, dal 1993, un parco nazionale protetto», nota Bernabé. Alla faccia del WWF secondo cui la diga avrebbe distrutto la biodiversità ed estinto la fauna.
«Le dighe da sole non sono la soluzione ma non sono neppure un tabù. Ridracoli funziona perché inserita in un sistema infrastrutturale idraulico molto più complesso che si è sviluppato attraverso la diversificazione delle fonti e l’integrazione delle reti, calibrato sul territorio per renderlo meno vulnerabile, frutto di un approccio preventivo e sostenibile», rimarca il presidente. Vincente è stata la scelta di creare una cabina di regia unica romagnola di tutte le fonti potabili e reti: la diga, il canale emiliano-romagnolo, i pozzi. Romagna Acque possiede gli asset, finanzia gli investimenti (15-20 milioni di euro l’anno) e si occupa di captazione, potabilizzazione e distribuzione primaria, mettendo a gara solo la parte finale del ciclo idrico. Così facendo non ha mai chiuso un bilancio in perdita.
Il problema è che su per giù ogni cinque anni la diga va in crisi perché l’acqua scarseggia. «Alla luce dei nuovi scenari climatici è evidente che il sistema va potenziato - spiega Armando Brath, professore ordinario di Costruzioni idrauliche dell’Università di Bologna che sta studiando la fattibilità dell’upgrade -. Per aumentare la disponibilità idrica dell’invaso occorre allacciare altri bacini, prolungando la galleria di gronda che oggi porta a Ridracoli l’acqua di altre fonti. L’acqua però non può essere spostata da una stagione all’altra a nostro piacimento e data la scarsa capacità della diga per accumularne di più si possono solo realizzare nuovi invasi. Localizzazioni adatte sono state individuate sul torrente Rabbi, sempre nel Parco nazionale delle foreste casentinesi, dove si potrebbero costruire sbarramenti ben oltre i 25 milioni di mc di acqua (soglia minima per evitare la fallanza del sistema), arrivando anche a 40 milioni, più che raddoppiando l’attuale capacità, con un investimento tra i 250 e i 350 milioni di euro. Lo studio di compatibilità ambientale è finito, bisogna passare alla fase progettuale. Ridracoli – conclude il professore Armando Brath – è oggi un ecosistema naturale di grande valore per il territorio e possiamo essere certi che la stessa succederà anche con un nuovo invaso».
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