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Ridurre il “rumore” dei bisogni primari per migliorare le nostre decisioni

di Eva Campi *

(© Erich Häfele)

4' di lettura

Ogni decisione è un’opportunità. O meglio, può rappresentare un’opportunità. Secondo alcune stime, l’essere umano prende 35.000 decisioni ogni giorno. Alcune di queste ci cambiano la vita, altre trasformano la nostra situazione affettiva o mutano la nostra condizione lavorativa. Come caspita riusciamo a capire che stiamo facendo, non dico la cosa giusta, ma, almeno, quella meno sbagliata?

Grazie ad una potente e diffusa opera di divulgazione, ormai molti di noi conoscono l’impatto dei bias sul giudizio umano. Sappiamo quanto questi pregiudizi distorsivi siano una fonte notevole di errori decisionali. È quindi saggio che le organizzazioni dedichino tempo e risorse nell’ambito della scoperta e formazione in questo campo. Tuttavia, alla veneranda età di 88 anni, Daniel Kahneman ci ha sorpreso di nuovo raccontandoci dell'esistenza di un’altra forza, potente e invisibile, correlata agli errori nel nostro processo decisionale. Il rumore.

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“Noise – A Flow in Human Judgement”, scritto dallo psicologo premio Nobel per l’Economia insieme a Olivier Sibony e Cass Sunstein, è uscito un anno fa. Nell’ambiente accademico si dice che la sua pubblicazione abbia precorso troppo i tempi, ma alla soglia dei 90 anni Kahneman sentiva, giustamente, una certa urgenza. E gliene siamo grati, perché l’importanza della cosiddetta “varianza non desiderata” - il rumore, appunto - è un salto di paradigma e di prospettiva che apre a incredibili possibilità di studio e applicazione.

In breve: in ogni processo valutativo, ci si aspetta qualche variazione. Ma quando riscontriamo più variazioni di quelle che ci aspettiamo o desideriamo, o otteniamo risposte diverse da un sistema progettato per generare risposte coerenti (una varianza non pronosticata e desiderata), ecco che lì, sappiamo che esiste il rumore. Un esempio su tutti. Se manager diversi forniscono valutazioni sulle prestazioni completamente diverse per lo stesso lavoro, c’è rumore.

Vi suona familiare? Per approfondire la teoria e la notevole quantità di dati, lascio a voi la lettura del tomo. Tuttavia, l’aspetto che, del libro, mi interessa mettere al centro è quel concetto di rumore così profondamente umano da essere considerato banale e sottostimato, e cioè, l’umore e la sua interconnessione con i bisogni primari.

Citando testualmente, “per ridurre il rumore occorre prendere le decisioni strategiche quando i nostri bisogni umani di base non vengono attivati. In altre parole, quando non siamo esausti, affamati, preoccupati, acciaccati o ammalati, quando fa troppo caldo o troppo freddo”.

Accadeva anche prima della pandemia. Riunioni che si protraggono oltre l’ora stabilita e che, per farle finire e andare a pranzo, si decide di fretta, con i dati disponibili e amen. Feedback correttivi dati alla veloce, nel mezzo di giornate piene, che non tengono minimamente conto dell’emozione che potrebbe nascere da quelle parole e dell’impatto che essa creerà sul resto della giornata, sulle relazioni e sulle decisioni. Powerpoint e fogli Excel finiti nel cuore della notte perché “ho tutto in testa” e quindi lo devo mettere giù adesso e chiudere.

Conosciamo bene gli epiloghi di queste storie. Decisioni da rivedere, rancore e disaffezione, errori e sviste che si potevano evitare benissimo, dormendoci su. Le survey sul wellbeing, fatte un po’ ovunque, ci dicevano chiaramente che, prima della Covid 19, le persone mangiavano male, si idratavano ancora peggio, dormivano troppo poco. In poche parole, alimentavano un “noisy system”, un sistema rumoroso.

Tuttavia, quanto ci sentivamo legittimati ad interrompere una riunione perché avevamo bisogno di mettere qualcosa sotto i denti? Oppure, abbiamo mai dichiarato di aver bisogno di chiudere 30 minuti gli occhi perché eravamo stanchi? Magari perché, la notte prima, avevamo accudito qualche familiare che aveva bisogno di noi? (figli, partner, ecc.). Esiste una sottile e inconsapevole tendenza a non manifestare i propri bisogni di base deprivati per paura di essere giudicati deboli.

Gli ultimi due anni ci hanno portato a mettere in discussione molte di queste convinzioni. Parliamo sempre più spesso di vulnerabilità e di fragilità, ma occorre fare uno sforzo ulteriore. Occorre diventare consapevoli di ciò che ci succede, di come stiamo, se siamo sereni oppure agitati; conoscere “il mood”, cioè la base da cui partire per ridurre quel “noise - rumore” che genera confusione, variabilità senza valore aggiunto, imprevedibilità e mancanza di congruenza nel processo decisorio.

Nelle 400 pagine del volume vengono suggeriti dei metodi di lavoro per identificare e ridimensionare il rumore sia a livello individuale che organizzativo. È superfluo, ma fondamentale sottolineare che gli autori mettono a fuoco l’importante ruolo che la decisione collettiva ricopre in termini di efficacia, rispetto alle scelte individuali del leader solo al comando. Tuttavia, mentre lo leggevo ho avuto la mia epifania, che mi auguro possa aiutare anche voi a prendere contatto con questa dimensione tutta da scoprire.

Preparazione dell’esame di Storia della psicologia all’università. Ultime pagine del capitolo 3. Mi ero data un calendario di studio serrato e costante, un certo numero di pagine ogni giorno e, ora, stavo per finire l’ultimo capitolo di quella giornata, ma… iniziai a sentire un po’ di fame, una sensazione diffusa di sovraccarico. Ma dovevo finire. E poi, era una materia in cui riuscivo facilmente, quindi, mi sono detta, “diamoci sotto, finiamo questo capitolo e domani è un altro giorno”.

Il giorno dell’esame mi sentivo pronta ed infatti le mie risposte erano puntuali e precise. Fatto salvo per quella domandina sulla fine del capitolo 3 che mi avrebbe assicurato la lode, che non presi. Buio, non ricordavo nulla e la cosa stupefacente era la mia sensazione di aver letto quelle pagine, ma non ce la facevo a recuperare alcun riferimento nella mia memoria. Ricordavo invece la sensazione di fame e stanchezza che avevo portato avanti pur di finire quel dannato capitolo. Avevo aumentato il rumore e per questo motivo, scelto il comportamento sbagliato essendo convinta di essere nel gusto.

Rigidità, sottovalutazione dello stato psicofisico, convinzioni granitiche, metodi consolidati ma ripetitivi, assenza di dubbio, dissociazione dai bisogni primari, eccesso di sicurezza, un insieme di micro-azioni che hanno alimentato il mio personale “noisy system”. Arrivati a questo punto, vi state chiedendo quale sia il vostro rumore? Quello che potete e dovete identificare prima di commettere degli errori che potevate evitare? Perché, se fosse solo una questione di lode o non lode, potremmo anche chiudere un occhio. Ma se in ballo ci fosse altro? Un progetto importante, l’ultimo giro per raggiungere il traguardo, la nostra sicurezza e quella degli altri?

* Partner Newton Spa

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