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Rifiuti, mancano gli impianti Conto salato per il Mezzogiorno

Secondo uno studio di Cassa e depositi e prestiti famiglie e imprese del Sud pagano il 25% in più di Tari per il servizio di gestione integrata della spazzatura rispetto a chi abita nelle aree del Nord

di Nino Amadore

 La mancanza degli impianti di valorizzazione costringe le regioni, soprattutto al Sud, a inviarli all’estero e i costi per i cittadini salgono

3' di lettura

«Una famiglia residente nel Mezzogiorno sostiene in media una spesa per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani di oltre il 25% superiore rispetto ad una famiglia residente al Nord (359 euro l’anno a fronte di 282 euro)». È solo una delle conclusioni cui arriva uno studio recente elaborato da Cassa depositi e prestiti e pubblicato nelle scorse settimane: il gruppo di lavoro è stato coordinato da Andrea Montanino e Simona Camerano. A incidere, secondo Cdp, sono soprattutto gli extra-costi associati al trasporto dei rifiuti fuori regione, quantificabili in 75 milioni di euro di Tari aggiuntiva, per il 90% a carico delle regioni del Centro-Sud, nonostante la qualità del servizio rimanga generalmente inferiore rispetto al resto del Paese. Il tutto in un quadro che è caratterizzato da un elevato conferimento in discarica (19% dei rifiuti urbani, un tasso 30 volte più elevato della media dei migliori per europei), in particolare nel Centro Sud e in consistenti esportazioni di rifiuti in regioni non limitrofe, con le ricadute sulla spesa sostenuta per il servizio dagli utenti finali di cui abbiamo detto.

L’altro tema importante è quello che riguarda l’impiantistica e in particolare gli impianti di recupero energetico come gli inceneritori. Attualmente, scrivono i ricercatori di Cdp, in Italia sono presenti 177 impianti di smaltimento finale tra discariche, impianti di incenerimento (tutti abilitati al recupero di energia) e impianti industriali che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani. Gli impianti di recupero energetico sono concentrati in particolare nelle regioni settentrionali (dove sono presenti il 70% degli impianti) e le sei regioni (Valle D'Aosta, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo e Sicilia), che non ricorrono al recupero energetico a causa della totale assenza impiantistica, hanno tra i tassi più elevati di conferimento in discarica.

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Complessivamente, si stima che il fabbisogno impiantisco al 2035 per il trattamento di rifiuti urbani necessario per centrare i target europei ammonti a 5,2 milioni di tonnellate di cui: 2,4 milioni per il trattamento dell’organico, concentrati in particolar modo in Campania, Lazio e Sicilia; 2,8 milioni per il recupero energetico, concentrati soprattutto in Sicilia, Veneto e Lazio. In particolare il fabbisogno impiantisco per il recupero energetico da colmare al 2035 relativi al conferimento in discarica ammonti a circa 2,8 milioni di tonnellate. A livello territoriale i maggiori fabbisogni sono in Sicilia (circa 560mila tonnellate) che è seguita da Veneto e Lazio (oltre 460mila tonnellate a testa), mentre tra le regioni autosufficienti figurano Lombardia, Emilia-Romagna e Molise.

A questo punto l’annosa questione della mancanza di risorse è solo un alibi per chi non vuol fare nulla. Il Pnrr stanzia oltre 2 miliardi di euro per la filiera dei rifiuti e punta a fornire una prima risposta alle criticità evidenziate. Gli investimenti previsti dal Pnrr hanno l’obiettivo, in particolare, di colmare il divario impiantistico per il trattamento dei rifiuti da raccolta differenziata tra regioni del Nord e del Centro-Sud: a queste ultime, infatti, è destinata ex lege la quota più significativa degli stanziamenti (60%).

Ma per quanto riguarda «la linea d’investimento relativa alla realizzazione e ampliamento di impianti di trattamento/riciclo dei rifiuti urbani provenienti da raccolta differenziata, i progetti finanziati, sugli oltre 480 ritenuti idonei, sono meno di 30» si legge. Il 70% dei fondi assegnati si concentra in cinque regioni: Sicilia (oltre 20% delle risorse), Abruzzo (14%), Sardegna (12%), Liguria (11%) e Piemonte (10%). Ma i progetti finanziati (450 milioni) «non colmano il fabbisogno soprattutto in regioni quali Lazio e Campania che registrano un’importante domanda impiantistica, come dimostrato anche dall’elevato volume di progetti presentati (99 e 49, rispettivamente, quelle ritenute idonee)». Per Cdp, il Pnrr, «pur costituendo un importante passo in avanti per il superamento delle disparità geografiche nel trattamento dei rifiuti da raccolta differenziata, non esaurisca pienamente i fabbisogni dei territori». La chiusura del ciclo dei rifiuti, dicono gli esperti, non può prescindere da soluzioni per il trattamento dei rifiuti urbani residui non differenziabili per minimizzare i tassi di conferimento in discarica. E dunque «è necessario potenziare la capacità di recupero energetico dei rifiuti urbani residui, anche in considerazione della ridotta vita residua delle discariche attive (4 anni in media nel Centro-Nord, 2 anni nel Sud peninsulare e in Sicilia, 1 anno in Sardegna)».

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