Riforma fiscale, allarme risorse: pochi tre miliardi su cuneo e Irap
La Nota di aggiornamento al Def potrà aprire nuovi spazi nel 2022 per finanziare l'intervento sulle tasse
di Marco Mobili, Gianni Trovati
I punti chiave
3' di lettura
«Continuiamo a leggere che il governo avrebbe a disposizione per la riforma tributaria solo tre miliardi. La cosa si commenta da sola: ci auguriamo che non sia così».
Alla vigilia dell’approdo in consiglio dei ministri della delega fiscale, dopo un cantiere allungato e complicato dalle polemiche interne alla maggioranza sul Catasto, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi lancia un allarme diretto sulle risorse a disposizione.
L’agenda delle imprese
Perché l’agenda delle imprese è chiara, e punta prima di tutto su taglio del cuneo, addio all’Irap e su un «sistema di imposizione sui redditi societari più attrattivo rispetto a quello attuale». L’idea di fondere Irap e Ires, insomma, con un aumento dell’aliquota di quest’ultima, si tradurrebbe per le imprese in «una revisione a somma zero che produce né crescita né occupati», rimarca Bonomi. Perché se la riforma deve essere «una leva essenziale per la crescita e la competitività», ha bisogno di più ambizione. E di più fondi.
La presa di posizione confindustriale non arriva a caso. Perché fra pochi giorni, insieme alla delega, è attesa in consiglio dei ministri la Nota di aggiornamento al Def che, certificando una crescita al 6% (contro il 4,5% degli obiettivi di aprile) e un deficit intorno al 10% (invece che all’11,8%) aprirà nuovi spazi di bilancio sul prossimo anno. Che potranno dare benzina anche alla riforma fiscale affiancandosi ai tre miliardi (scarsi) già a disposizione nel fondo creato con la legge di bilancio dell’anno scorso.
I calcoli
Ma la strada da percorrere resta lunga. Perché in base ai calcoli confindustriali rilanciati dal presidente nei colloqui a margine dell’assemblea annuale, solo per ridurre in modo sufficientemente sensibile il cuneo fiscale occorrerebbero fra i 10 e i 13 miliardi. «Non serve solo un intervento sulla tagliola rappresentata dall'attuale aliquota Irpef del 38%», sottolinea Bonomi richiamando le recenti indicazioni dell’Ocse che chiedono una riduzione secca del cuneo fiscale su imprese e lavoro. E per l’Irap, respinta l’idea della partita di giro con l’Ires, l’obiettivo è quello della cancellazione di una tassa da sempre indigesta per gli imprenditori. Con una possibilità alternativa. L’Irap dei privati porta nelle casse dello Stato 15 miliardi all’anno: e l’idea lanciata ieri da Bonomi è di trasformarne una parte in «cofinanziamento delle nuove politiche attive del lavoro», a patto però che la riforma si basi sulla pari dignità fra centri pubblici per l’impiego e agenzie private per il lavoro.
Alla ricerca di nuove risorse
Anche così, però, una riforma del genere non può decollare senza trovare nuove risorse nel bilancio. Bonomi lo sa, e indica la via di «una radicale revisione di tutti i bonus introdotti da destra e sinistra, che con prelievi forfetari hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili sia orizzontali sia verticali» nell’Irpef.
Un passaggio, questo, inevitabile, perché la riforma deve essere a tutto campo. La leva fiscale sui redditi societari, per il leader di Confindustria, deve trasformarsi in un motore di competitività internazionale: bisogna sostenere gli investimenti a massimo valore aggiunto in ricerca e digitale ed efficienza energetica, e va «messo un po’ d’olio» nelle riorganizzazioni per rafforzare il patrimonio delle tante aziende ancora lontane dalla fascia d’eccellenza. «Sì» delle imprese all’accordo del G20 sulla minimum tax globale, mentre fra le misure a sostegno delle imprese Bonomi chiede di ripensare l’utilizzo delle perdite fiscali, «ricorrendo a meccanismi di carry-back e prevedendo una maggiore flessibilità del loro utilizzo, oltre a un trattamento fiscale più favorevole dell’indebitamento, come consente il diritto unionale».
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