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Rigenerazione, la sfida passa da comportamenti virtuosi e più informazione

Nell’agone della battaglia climatica se, da una parte, alcune soluzioni riscuotono sia consenso che dissenso, in modo anche vibrante (vedi la mobilità elettrica), l’Economia Circolare appare dai più considerata separata, rischiando la scarsa rilevanza, ma mai è contrastata in modo frontale.

di Riccardo Piunti

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3' di lettura

Nell’agone della battaglia climatica se, da una parte, alcune soluzioni riscuotono sia consenso che dissenso, in modo anche vibrante (vedi la mobilità elettrica), l’Economia Circolare appare dai più considerata separata, rischiando la scarsa rilevanza, ma mai è contrastata in modo frontale. Si levano tuttavia voci di preoccupazione per le difficoltà in cui la stessa “grande Europa” si dibatte o potrebbe trovarsi a farlo con l’emergere di freni o carenze per l’Economia Circolare, che rischiano di limitarne l’avanzata o la portata: l’aggiornamento della direttiva Ue sui rifiuti, che ha ridotto alcune ambizioni (quale il target Ue di rigenerazione per gli oli usati); il report della Banca Mondiale che segnala esigenze e difficoltà su 4 parametri chiave (Istituzioni, Informazione, Incentivi e Finanza); il Circularity Gap 2023 che indica una riduzione della circolarità nel mondo in 5 anni dal 9% al 7 per cento. Su queste pagine, nelle scorse settimane un articolo a firma di Urbinati e Zerbino (6 gennaio 2023) ha evocato il rischio di rebound, ovvero di un maggior ricorso alle risorse naturali favorito dalla economicità di quelle da rifiuto, con conseguente incremento dei consumi di materie prime “vergini”.

Il cammino disegnato negli anni 60 da Kenneth Boulding (antesignano della Teoria dei Sistemi) non si presenta facile.

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Eppure lo descriveva in modo che anche un bambino ne capirebbe l’ineluttabilità: «passiamo dalla economia del Far West a quella dell’astronave”. Egli vedeva un’Astronave-Terra sempre più popolata, dalla quale non si può uscire e, pertanto, la logica di “consumare di più” andava rimpiazzata da quella del “contenere i consumi, recuperare, riciclare”.

Il suo messaggio ha tardato a dare frutti, anzi il consumo di risorse naturali è cresciuto esponenzialmente e minaccia di raddoppiare entro quel 2050 che i piani sul cambiamento climatico vedono come traguardo della neutralità.

In questa ottica è utile esaminare la nicchia in cui opera il Conou, il Consorzio italiano degli oli minerali usati, per ricercarne le chiavi di successo.

Con un tasso di rigenerazione superiore al 98%, la filiera degli oli minerali italiana è esempio di Circolarità totale, a livelli di assoluta eccellenza («L’Europa rigenera soltanto il 61%» degli oli minerali, lamentava la Commissione Europea nel marzo scorso).

Ogni rifiuto ha una sua specificità, tuttavia alcuni elementi base potrebbero assurgere a “fattor comune”.

Affidandoci al mercato, dobbiamo sapere che questo non sceglie “spontaneamente” l’invio alla rigenerazione; chi ha il rifiuto cerca di liberarsene nel modo più agevole e rapido, anche perché lo stoccaggio temporaneo presso l’azienda è soggetto a limiti di tempo e quantità. Per gli oli usati, il Conou, frapponendosi per selezionare il rifiuto e discriminare quello rigenerabile da quello che non lo è, svolge un ruolo di garante (senza fine di lucro) necessario per concretizzare quella priorità alla rigenerazione che verrebbe, altrimenti, evocata e prescritta invano (come accade in grandi Paesi Ue).

La qualità del rifiuto è una variabile indipendente. Anche qui la “spontaneità” può spesso indurre a miscelare rifiuti di qualità disomogenea per collocare sul mercato quelli peggiori alle condizioni dei migliori. Ancora una volta un “garante di qualità” può, al contrario, favorire il fenomeno opposto che concentra, in volumi marginali, i rifiuti di peggior qualità da destinare, loro sì, a trattamento diverso dalla rigenerazione.

La qualità del prodotto rigenerato è fondamentale; se non è performante come quello tradizionale, rischia di non trovare mercato. Fare rigenerazione non è “un pranzo di gala”, ma un lavoro sofisticato e tecnologico che non può essere svolto da un impianto qualunque. Il controllo continuo degli standard degli impianti che “dovrebbero rigenerare” non è nemmeno questo “spontaneo”, ma va fatto da chi ne ha la competenza e ha indipendenza.

L’informazione è necessaria; i comportamenti virtuosi si diffondono solo se si crea una rete di comunicazione che ponga la Circolarità sul giusto piano, quello di un’etica individuale e di impresa; rendendo premiante il modo “circolare” potremo invertire rotte sbagliate.

Se sono degni di attenzione i warning sullo stato e i rischi per l’Economia Circolare che ci giungono, dobbiamo porre il quesito di come fare affinché il percorso, che non può essere “spontaneo”, si avvii in una spirale positiva che travolga tutti i feedback negativi, questi sì “spontanei”, che lo ostacolano o rallentano. L’Italia, col suo modello dei Consorzi di filiera, può certamente proporsi come esempio.

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