Rihanna, come la «bad girl» dell’R&B è diventata un brand di moda
di Marta Casadei
4' di lettura
A maggio 2018 saliva le scale del Metropolitan museum di New York in versione “papessa”, ricoperta di gemme da capo a piedi. Oggi, invece, i rumor la vogliono pronta a siglare un accordo con il colosso Lvmh - il più grande gruppo del lusso al mondo con un fatturato di oltre 42,6 miliardi di euro di ricavi 2017 - per lanciare sul mercato un marchio di womenswear di lusso.
Lei, del resto, è già un brand. Trentun anni da compiere a breve, originaria delle Barbados (paese che dal 2018 rappresenta come ambasciatrice «straordinaria e plenipotenziaria»), Rihanna – al secolo: Robyn Rihanna Fenty - è cantante, attrice, designer e imprenditrice. Se la sua carriera da pop (e, prima, R&B) star è cominciata nel 2005 quando, ad appena 17 anni, il singolo Pon de Replay scalò la Billboard Hot 100 e ha già all'attivo oltre 60 milioni di dischi venduti e nove Grammy Awards, la sua carriera da creativa è decisamente più recente. Ma è ugualmente sfaccettata e costellata di successi. Tanto che già nel 2016 il gruppo Npd le assegnava il punteggio più alto in termini di «brand endorsement».
A partire da gennaio 2015, innanzitutto, è direttrice creativa e ambassador della linea Fenty Puma by Rihanna. La nomina - che sia stata o meno una mossa di marketing ben piazzata, come fu accolta dagli addetti ai lavori – ha avuto il suo ritorno economico: Puma chiudeva l'anno fiscale 2014 con poco meno di 3,2 miliardi di euro, in linea con l'anno precedente; il primo semestre 2018, invece, si è chiuso a quasi 2,2 miliardi di euro, in salita del 10% rispetto allo stesso periodo del 2017.
Riri, questo il soprannome della cantante, non va considerata la panacea che ha risolto i problemi di Puma (in cui il gruppo Kering mantiene una piccola partecipazione, il 15,7% dopo aver ceduto un pacchetto consistente di quote a metà 2018, con l’intento di concentrarsi sul lusso), ma sicuramente ha contribuito a cambiare e a rendere più cool l’immagine del brand, complice la sua visibilità, i grandi eventi che hanno monopolizzato le fashion week di Parigi e New York («Is it New York fashion week or Rihanna Inc.?», si chiedeva il New York Times nel settembre 2017») , le campagne pubblicitarie e l’esposizione sui social, dove @badgalriri ( Rihanna la ragazzaccia, letteralmente) vanta ad oggi 67 milioni di follower. In una manciata di anni Rihanna è diventata una cover girl da rivista di moda: ha posato per il September Issue di British Vogue (2018) e, tra le altre, per Vogue Arabia (questa cover fu criticata per “appropriazione culturale”, visto che la cantante impersonava una Nefertiti super glamour, pur non avendo nulla a che fare con l’Egitto).
Bene o male, purché se ne parli, si dice. E i l passa parola ha reso Fenty Puma un trampolino di lancio per Fenty, marchio su cui Rihanna sembra puntare molto e per difendere il quale ha perfino fatto causa a suo padre, che lo usava impropriamente. Il brand, in poco tempo, è entrato nel segmento underwear con una collezione (lanciata a settembre e già di successo) partnership con Savage: la linea spazia dalla lingerie sexy all’intimo sportivo, includendo anche le taglie per le donne più formose.
Soprattutto, nel settembre 2017 il marchio Fenty ha fatto il proprio ingresso trionfale nel mondo beauty- dove Rihanna aveva già sperimentato il proprio appeal, e con scopi benefici, insieme a Mac con Viva Glam - con la linea Fenty Beauty by Rihanna. Una collezione di make up trasversale: è stata creata con l’intento di essere una linea “inclusiva” con sfumature adatte a qualsiasi tonalità di pelle. Per questo motivo, al lancio contava ben 40 nuances di fondotinta, che dovrebbero aumentare quest’anno in linea con le 50 sfumature di correttore appena lanciate.
La valorizzazione delle diversità è uno dei tanti temi sociali cari a Riri che, pur definendosi una cattiva ragazza, negli anni si ha preso posizione su molte questioni sociali di grande rilevanza. Si è schierata contro il bodyshaming - che ha colpito lei e le sue oscillazioni di peso -, contro la violenza sulle donne (anche in questo caso ne fu vittima lei stessa, picchiata dall’ex compagno Chris Brown) e contro il razzismo. Pare che nel 2018 abbia rifiutato di esibirsi nell’intervallo del Super bowl, con i suoi 100 milioni di spettatori considerato il palcoscenico più esclusivo al mondo, appoggiando la posizione del giocatore di baseball Colin Kaepernick che per protesta aveva rifiutato di alzarsi all’inno nazionale americano, scatenando le ire del presidente Trump. E, ancora: ha raccolto fondi per il terremoto di Haiti e nel 2006 ha aperto The Believe Foundation, il cui impegno è rivolto verso i bambini in difficoltà.
Se nel 2019 dovesse davvero lanciare (oltre al nuovo disco, attesissimo e già confermato in uscita quest’anno) il proprio marchio con Lvmh sarebbe l a prima designer e imprenditrice donna di colore ad operare nella galassia Arnault. Un modo, anche questo, per fare la differenza.
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