Rilancio dell’ex Ilva, per la politica è l’ultima chiamata
Adesso il banco di prova è il Dl Aiuti bis, che comincia dal Senato l’iter di conversione. Invitalia è stata autorizzata a sottoscrivere aumenti di capitale o diversi strumenti sino a un miliardo
di Domenico Palmiotti
4' di lettura
Da Monti a Draghi, non c’è Governo negli ultimi dieci anni che non si sia occupato dell’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria europea. Un’attenzione resa necessaria dal sequestro degli impianti, a luglio 2012, per gravi reati ambientali e via via proseguita con una serie di decreti chiamati a dare risposta alle emergenze che di volta in volta si presentavano. A dieci anni dal 2012, oltre alla vendita (2017) della fabbrica al privato Mittal, dopo che lo Stato l’aveva commissariata nel 2013, e oltre alla nuova società Acciaierie d’Italia, costituita nel 2021 tra Mittal e Invitalia, ci sono alcuni, importanti miglioramenti.
Per esempio: gli interventi previsti per l’adeguamento degli impianti sono stati quasi tutti completati e certificati, dicono Mite e Ispra. E l’azienda dichiara che negli ultimi tre anni sono stati investiti 1,1-1,2 miliardi di euro di cui 700 milioni per l’ambiente. Ma gli impianti restano sequestrati seppure con facoltà d’uso. Inoltre la produzione non decolla, la cassa integrazione è elevata e la crisi di liquidità stringe Acciaierie d’Italia, limitandola nell’acquisto delle materie prime come nel pagamento dei fornitori. L’ultimo intervento del Governo è stato con il Dl Aiuti Bis. Invitalia, socio di minoranza rispetto a Mittal, è stata autorizzata a sottoscrivere aumenti di capitale o diversi strumenti, comunque idonei al rafforzamento patrimoniale, anche nella forma di finanziamento soci in conto aumento di capitale, sino a un miliardo complessivo.
Come la città è divisa tra chi vuole la fabbrica chiusa tout court per puntare su alternative e chi invece la vuole in attività ma con garanzie ambientali, così il tema Ilva ha già più volte diviso la politica e ora si vedrà se e come planerà nella campagna elettorale a Taranto. Nel 2018, sull’onda del proclama “chiuderemo l’acciaieria”, il M5S elesse cinque parlamentari. E di quella truppa oggi ne è rimasto uno solo, Mario Turco, mentre gli altri hanno cambiato collocazione tra Misto e Luigi Di Maio. In città, in particolare, M5S ottenne il 47,70 per cento, Forza Italia il 19,40, la Lega 5,70, Fratelli d'Italia il 3,63, il Pd il 13,56. In totale, 15,97 al centrosinistra e 29,77 al centrodestra.
Ma i conflitti sull’Ilva sono anche più recenti. A febbraio in commissione alla Camera un bel pezzo della maggioranza di Draghi (Pd, M5S, Forza Italia e Italia Viva) silurò la norma del Milleproroghe che voleva trasferire 575 milioni dalle bonifiche (in mano ad Ilva in amministrazione straordinaria) alla decarbonizzazione (e quindi all’azienda). E quando a maggio, con il Dl Energia, l’operazione è stata rimessa in pista, spostando 150 milioni e non più 575, Pd, M5S e Leu hanno cercato di ostacolarla ma senza esito.
Inoltre, poco prima che si sfasciasse l’alleanza tra Pd e Azione, sull’Ilva Carlo Calenda - che da ministro ha gestito la vendita della società dallo Stato a Mittal - e Angelo Bonelli dei Verdi si sono scambiati colpi di fioretto. Mentre il Pd di Taranto, con Mattia Giorno, rileva che «la linea Calenda non è assolutamente compatibile con il grande percorso di transizione e decarbonizzazione avviato in Puglia dal presidente Emiliano e a Taranto dal sindaco Melucci».
Adesso il banco di prova è il Dl Aiuti bis, che comincia dal Senato l’iter di conversione. Plaude la Lega all’intervento, ma esprime critiche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci (a giugno rieletto col 60 per cento al primo turno), vicino al governatore pugliese, Michele Emiliano, affermando che non c’è alcuna garanzia su come verranno spesi questi soldi. Melucci, nel discorso di insediamento al Consiglio comunale, ha confermato che per il Comune l’area a caldo va chiusa, perché impattante, in favore di una riconversione tecnologica. Scenario a cui si oppongono l’ad dell’azienda, Lucia Morselli, e i sindacati.
Critico anche M5S con il vice presidente Mario Turco, eletto a Taranto: «Diciamo no all’agenda Draghi che stanzia un miliardo di euro per aumentare la produzione dell’ex Ilva di Taranto senza vincolare le risorse alla tutela ambientale e alla prevenzione sanitaria con buona pace della transizione ecologica».
Per Raffaele Fitto, europarlamentare e leader FdI in Puglia, «la prima cosa da fare su un problema così complesso come l’Ilva, è mettere da parte demagogia e populismo ed affrontare il tema in chiave di politica industriale. Abbiamo visto, in questi anni, dove ci ha portato una simile conduzione del problema. Nessun risultato, nessuna promessa trasformatasi in realtà, semmai la questione si è complicata ulteriormente. Taranto e la Puglia non possono fare a meno di una presenza industriale così importante, poiché l’acciaio alimenta catene e filiere dell’economia nazionale, ma non possono continuare a pagare il costo economico e sociale della mancata sostenibilità ambientale dell'impianto». «Ora che lo Stato è partner di Acciaierie d’Italia - dichiara Fitto -, l’attenzione deve fortemente concentrarsi su tre priorità: la sostenibilità ambientale, la sicurezza, la competitività dell'impresa anche alla luce del nuovo scenario energetico internazionale. Senza azioni coerenti con queste priorità, non c’è futuro. No a scenari immaginifici e probabilmente di difficile realizzazione. Serve lavorare su ciò che le tecnologie mondiali offrono di meglio e di avanzato».
Il Pd, con Antonio Misiani, responsabile economico e commissario del partito a Taranto, e Ubaldo Pagano, deputato pugliese, tiene alta l’asticella sull'ambiente. «La decarbonizzazione resta il primo obiettivo da raggiungere per fare degli stabilimenti siderurgici un’opportunità produttiva e lavorativa che non rechi, come ha fatto per decenni, gravissimi danni ai lavoratori e alla cittadinanza sotto il profilo ambientale e della salute umana» affermano i due parlamentari. E aggiungono: «Garantire la sicurezza di chi ci lavora, rispettare gli impegni con l'indotto, avviare la piena decarbonizzazione degli impianti, sono i traguardi che bisogna con urgenza raggiungere nel tempo più breve possibile. Ogni esigenza di qualsiasi altra natura non può che passare in secondo piano».
«Il Dl Aiuti Bis è una misura d’emergenza - osserva Roberto Benaglia, segretario generale Fim Cisl -. Ma il siderurgico di Taranto sta letteralmente affondando e non possiamo aspettare le elezioni e l’insediamento del prossimo Governo. Abbiamo perciò chiesto ai ministri Giorgetti e Orlando che questo Governo mantenga gli impegni presi, rivedendoci a fine agosto-inizio settembre per fare il punto su questa importante crisi».
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