Rimborsi, europarlamentari non obbligati a dichiarare come li spendono
di Alberto Magnani
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I cittadini (e i giornalisti) non hanno diritto di sapere come gli eurodeputati spendono i soldi previsti dalle indennità per i costi giornalieri, le spese di viaggio e l’assistenza parlamentare. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea di Lussemburgo con una sentenza depositata ieri. Il caso risale al 2015, quando un gruppo di cronisti investigativi aveva chiesto al Parlamento di rendere pubblici i documenti relativi alle varie indennità corrisposte in maniera forfettaria ai 751 rappresentanti dell’Eurocamera.
Il Parlamento si era rifiutato appellandosi alla privacy personale e oggi, tre anni dopo, il tribunale Ue gli ha dato ragione. L’Eurocamera, si legge in una nota della Corte di giustizia, «era legittimata a invocare il fatto che i documenti interessati contengono dati personali e i richiedenti non hanno dimostrato la necessità del trasferimento di tali dati».
Dai treni agli «abbonamenti ai computer», tutte le spese degli eurodeputati
Oggi i deputati Ue ricevono, oltre a uno stipendio lordo di 8 611.31 euro (6 710,67 euro netti), una serie di agevolazioni a copertura dei costi della propria attività fra le varie sedi delle istituzioni Ue: un rimborso delle spese di viaggio e di alloggio fino a 4.264 euro l'anno, una ulteriore «indennità di soggiorno» da 313 euro per ogni giorno di presenza a Bruxelles o Strasburgo («purché firmino un registro che attesti la loro effettiva presenza»), e in aggiunta, una controversa «indennità da spese generali» pari alla cifra fissa di 4.416 euro, per le «spese sostenute principalmente nello stato membro di elezione, ad esempio quelle necessarie per l'affitto e la gestione dell'ufficio, per telefoni, abbonamenti e computer». Il Parlamento fissa alcune regole minime di trasparenza, come l’obbligo di fornire delle ricevute degli spostamenti per quantificare l’importo esatto del rimborso. Altri risarcimenti, però, restano del tutto forfettari: è il caso degli oltre 4mila euro delle «indennità generali», ma anche dei 313 euro versati quotidianamente a rimborso delle proprie attività giornaliere a Bruxelles o Strasburgo (comunque ridotto del 50% nel caso che l’eurodeputato «partecipi a meno della metà delle votazioni per appello nominale durante i giorni di votazione in Aula»). Un’indagine a cura di Investigative reporting Denmark, un gruppo di giornalisti investigativi, ha rilevato l’esistenza di quasi 250 uffici «fantasma», registrati ma mai entrati in attività (o del tutto inesistenti).
Il no del Tribunale: quei dati «non sono necessari»
L’obiettivo dei cronisti era di “scoperchiare” le singole voci di spesa, per verificare l’aderenza degli esborsi con le proprie attività di parlamentari. La Corte di giustizia ha dato ragione al niet del Parlamento perché la divulgazione dei dati in oggetti può «arrecare pregiudizio alla tutela della vita privata e dell'integrità dell'individuo e tale regola deve essere attuata in conformità con la legislazione dell'Unione sulla protezione dei dati personali». Il Tribunale evidenzia poi che la richiesta di trasferimento dei dati mancava del requisito della «necessità», cioè del suo essere utile per ragioni di trasparenza: «I richiedenti - si legge nel comunicato sulla sentenza - non sono riusciti a dimostrare in che modo il trasferimento dei dati personali in questione sia necessario per garantire un controllo sufficiente sulle spese sostenute dai membri del Parlamento per l'esercizio del loro mandato».
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