Rimettere in gioco Msc-Lufthansa è una buona idea
Sembra davvero non esserci pace per la nostra compagnia di bandiera
di Giovanni Fiori
3' di lettura
Sembra davvero non esserci pace per la nostra compagnia di bandiera. Dopo i quasi 20 anni di tormenti di Alitalia, anche la neonata Ita Airways vive un momento di turbolenza.
Ma l’Italia ha bisogno o no di una compagnia di bandiera? Molti pensano di no, e credono che in sua assenza gli spazi di mercato verrebbero occupati da altri operatori e che i viaggiatori da e per l’Italia potrebbero comunque andare dove vogliono.
Questa posizione non è assolutamente condivisibile. Non è un caso se qualunque Paese di una certa rilevanza ha, di fatto, la propria compagnia di bandiera, e che quasi sempre esiste una forma diretta o indiretta di controllo pubblico sulla stessa. Il motivo è semplice: i flussi in entrata e in uscita delle persone, siano essi legati al turismo o agli affari, vanno gestiti e non subiti. Pensiamo davvero che i voli di breve e medio raggio possano essere operati da Ryanair o EasyJet in modo tale da soddisfare tutte le esigenze di politica industriale e turistica dell’Italia? Pensiamo che i voli di lungo raggio (che le low cost non operano) debbano essere gestiti in toto dalle compagnie straniere? Che decidono loro quanti voli debbano esserci per l’Italia? Se nessun Paese serio ha optato per questa scelta un motivo ci sarà. Il trasporto aereo è uno strumento di politica industriale e turistica, che non può essere delegato a soggetti (quasi sempre stranieri) che gestiscono i flussi di passeggeri pensando ai loro interessi e non a quelli del Paese.
Sgombrato il campo da questa questione “preliminare”, quale può essere il futuro migliore per Ita?
Ita Airways è il risultato del lungo e doloroso calvario della storica Alitalia. Ora è finalmente una compagnia risanata, con costi di gestione gestibili e in linea con la concorrenza, e questo risanamento sta iniziando a dare i suoi primissimi frutti.
La secondo questione da porsi è: Ita può stare in piedi da sola? Anche qui la risposta è netta: da sola non può reggere, perché il settore del trasporto aereo è molto complesso (nel secondo dopoguerra è il fanalino di coda tra i settori per profitti generati) e nessuna compagnia di piccole dimensioni che non sia inserita in un robusto sistema di alleanze può resistere.
A Ita serve entrare in una partnership globale e all’Italia serve che vi sia un pur minimo controllo pubblico su come Ita verrà gestita.
Nei giorni scorsi, il ministro Giorgetti ha riaperto la gara per la vendita della quota di maggioranza della compagnia, rimettendo in gioco il consorzio Msc-Lufthansa che nella fase precedente era stato escluso a favore del fondo Certares e dei suoi partner Delta ed Air France-Klm.
Si tratta di una decisione condivisibile. Da tempo sostengo che il partner industriale migliore per Alitalia-Ita sia Lufthansa e non la coppia formata da Delta e Air France-Klm. Le caratteristiche della compagnia tedesca sono complementari con quelle del mercato italiano: una struttura basata su più hub e un traffico prevalentemente outbound (tedeschi che viaggiano dalla Germania verso l’estero). Caratteristiche che si sposano con quelle del mercato italiano che è prevalentemente inbound. Non vi sarebbe dunque concorrenza ma sinergia. Anni di alleanza con Air France-Klm e Delta hanno dimostrato come, in partnership con i francesi, l’Italia sia destinata a recitare la parte del parente povero, essendo anche la Francia un Paese con traffico inbound e che per questo si trova in concorrenza con l’Italia. E sembrerebbe che l’offerta Certares non abbia, per ora, affrontato questo aspetto cruciale, e cioè quali rotte sviluppare per Ita e quale concreto impegno sia previsto per i partner industriali. Anzi, alcuni elementi fanno pensare che questo impegno non vi sia: basti pensare che Delta ha previsto per sé (e non per Ita) altri due voli tra Roma Fiumicino e New York Jfk, occupando quello spazio di mercato che nelle premesse si voleva sviluppare.
Di contro, il consorzio Msc-Lufthansa potrebbe anche giovarsi del know-how di Msc nel settore cargo che, soprattutto dopo la pandemia, si sta dimostrando tra i quelli profittevoli.
Con ciò non intendiamo dire che Ita vada venduta a Msc-Lufthansa a ogni costo. Anche in questo caso è determinante il piano industriale, nei dettagli e non nelle enunciazioni di principio. Dettagli che significano rotte, sinergie di costi (carburante in particolare), ruolo degli aeroporti, e via dicendo.
Questo è ciò che andrà valutato quando si sceglierà l’acquirente. Senza dimenticare che un ruolo minimo nella gestione della compagnia, lo Stato italiano lo dovrà mantenere. E riteniamo che possa essere esercitato senza ledere gli interessi di quelli che saranno gli azionisti di maggioranza. Se la strategia industriale è corretta e basata sullo sviluppo di Ita (e non nel suo ridimensionamento per mantenere posizioni di vantaggio), a vincere saranno tutti i soci, e anche il sistema Paese.
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