Riparte lo shopping della Fed, ecco perché non può farne a meno
Acquisti di Treasury per 60 miliardi al mese e iniezioni di liquidità. Washington: «Non cambia la politica monetaria», ma il mercato punta al nuovo Qe . Columbia Threadneedle: «Il bilancio Fed deve essere strutturalmente più elevato di quanto non lo sia al momento»
di Maximilian Cellino
3' di lettura
Alla fine la Federal Reserve capitola, annuncia acquisti di titoli di Stato Usa per un ammontare iniziale pari a 60 miliardi di dollari da effettuarsi almeno fino a metà del 2020, ma resta fedele alle proprie convinzioni: la mossa non comporta un cambiamento di linea sulla politica monetaria attuale, non è quindi un nuovo quantitative easing. Il mercato e molti analisti la pensano però in maniera diversa e sono invece convinti che la Banca centrale americana dovrà mettere presto mano al proprio arsenale di armi ed estendere le operazioni anche a titoli di medio-lungo termine, non soltanto ai T-Bills come stabilito ieri.
La crisi che ha attanagliato il mercato overnight Usa di queste ultime settimane non è infatti dovuta soltanto a una coincidenza di fattori tecnici quali un’improvvisa ed eccezionale domanda di fondi legata agli adempimenti fiscali delle aziende, la concomitanza di emissioni obbligazionarie governative per coprire le crescita del deficit pubblico e la riduzione dalle riserve complessive detenute dalle banche. A complicare la situazione ha senz’altro contribuito il fatto che nei 12 mesi precedenti le Banche centrali abbiano ridotto in modo drastico il flusso di denaro destinato ai mercati finanziari fino a renderlo negativo: abbiano cioè di fatto drenato liquidità dal sistema, per la prima volta dopo la grande crisi del 2009.
In precedenza era bastato molto meno, un semplice ma marcato rallentamento dell’afflusso di fondi, per creare terreno fertile a sviluppare episodi di elevata volatilità sui mercati che hanno accompagnato per esempio la bufera sulle banche e sul debito pubblico in Europa fra il 2011 e il 2012 o ancora la crisi del settore energetico tre anni dopo. Ed è soprattutto per questo motivo che, al di là delle rassicurazioni offerte martedì scorso dal presidente Jerome Powell e ribadite ieri, la Fed finirà con tutta probabilità finirà per riavviare l’azione di quantitative easing, proprio come la Bce si appresta a fare riaprendo il piano di acquisti di asset al ritmo di 20 miliardi di euro al mese a partire da novembre.
«Non può farne a meno perché in un mondo in cui le richieste di adeguamento ai requisiti regolamentari a carico del sistema bancario sono ancora così rilevanti, il bilancio Fed deve essere strutturalmente più elevato di quanto non lo sia al momento», conferma Gene Tannuzzo, vice responsabile del team globale sul reddito fisso di Columbia Threadneedle, spiegando che «se in una situazione normale a fornire la liquidità sui mercati sono gli istituti di credito, ora che questi sono impegnati nel ristrutturare i bilanci e rafforzare il patrimonio e non forniscono più il capitale necessario sta alle banche centrali fare un passo in avanti e colmare la lacuna».
Certo, per il momento i provvedimenti adottati da Washington rappresentano una risposta a un problema tecnico sui mercati piuttosto che un’azione vera e propria di allentamento della politica monetaria, «tuttavia - avverte Tannuzzo - è probabile che, man mano che la domanda di riserve cresca in misura organica, la Fed sia tenuta ad aggiungere di volta in volta liquidità per garantire che il cuscinetto delle riserve in eccesso rimanga sufficientemente grande da ancorare i tassi a breve termine».
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Quanto potranno essere allargati i suoi bilanci e quelli delle altre principali banche centrali mondiali è difficile da prevedere: «Di sicuro - sottolinea il gestore, ieri a Parigi per illustrare le strategie di investimento di Columbia Threadneedle - la Fed è preoccupata per quanto avvenuto e insieme a Bce e Banca del Giappone conserva margini di manovra per agire in modo più aggressivo su questo fronte». La banca d’affari anglo-americana stima che nel 2020 e l’anno successivo gli acquisti netti potranno di nuovo attestarsi mediamente attorno i 500 miliardi di dollari: non sarà quell’ondata di liquidità che nel recente passato ha raggiunto anche i 3mila miliardi, ma potrebbe essere sufficiente a ripristinare il corretto funzionamento dei mercati.
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