Ripensare le città: da smart a safe city
di Massimo Roj
3' di lettura
Il sempre attuale Italo Calvino ha scritto “D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Le nostre città rispondono alle nostre domande? Quali sono le domande che oggi ci poniamo e alle quali le città sono tenute a rispondere?
Negli ultimi decenni, le città in tutto il mondo sono state protagoniste di un processo di evoluzione senza precedenti, una trasformazione che si è ulteriormente accelerata con il diffondersi capillare del digitale. La città si trasforma in “smart city”, una dimensione che, rimanendo nel gergo informatico, è più connessa, veloce, responsive e dove tutto (o quasi) è a portata di click.
La smart city è stata la risposta alla nostra esigenza di maggiore facilità di accesso ai servizi, ma oggi è sufficiente? Qual è la nuova domanda?
La pandemia che ha scosso il mondo nel 2020 ci spinge a individuare nuove chiavi di lettura di una realtà che inevitabilmente è cambiata. E' necessario compiere un passo ulteriore: la città deve essere in grado di dare una risposta alla rinnovata esigenza di sicurezza, intesa non solo come salute fisica e “sanitaria”, ma anche come benessere e migliore qualità della vita.Tecnologia e senso di sicurezza devono dialogare in una nuova dimensione in cui l'uomo torna ad essere il centro nevralgico delle scelte di politica urbana: ecco che assistiamo ad un nuovo passaggio, fondamentale, da “smart city” a “safe city”, nella quale il digitale è al servizio della persona e, in un'ottica più ampia, contribuisce a rendere le città più reattive ad eventi complessi come quelli che abbiamo vissuto quest'anno.
Questa visione ha ispirato un nostro recente lavoro di ricerca, sviluppato con l'ex Assessore all'Urbanistica del Comune di Milano l'ingegner Gianni Verga, che ha nelle periferie cittadine il terreno privilegiato di applicazione. Le periferie, queste terre di confine spesso lasciate ai margini di grandi piani di riqualificazione, sono una pagina bianca dove poter riscrivere un nuovo capitolo di rinascita. Il nostro obiettivo è proprio quello di definire un nuovo approccio alla rigenerazione urbana, che non si limiti al solo recupero architettonico, ma che si trasformi invece in opportunità concreta di rilancio economico e sociale, in ottica “safe” e focalizzata sul cittadino.
Prendendo la città di Milano come primo caso di studio, la ricerca si è focalizzata sui quartieri a edilizia residenziale popolare, individuandone sette come possibili casi di applicazione dell'approccio sopra citato, sulla base di caratteristiche e necessità di intervento simili. Partendo dai grandi programmi di rigenerazione urbana in corso in Europa, come Amburgo, Parigi e Lisbona, la proposta agisce su più livelli contemporaneamente – architettonico, ambientale e sociale – per restituire alla città un tessuto periferico completamente rinnovato e riconnesso.
Lo studio propone un modello di intervento che si basa su una partnership pubblico-privato che implica un costo pari a zero per l'amministrazione pubblica. Il quartiere di San Siro, nello specifico la zona di edilizia popolare compresa tra P.le Selinunte e P.le Segesta, è stato scelto come prima esemplificazione del processo. E' un quartiere nato a cavallo delle due grandi guerre e diventato negli anni un'area complicata, caratterizzata da un livello architettonico e di servizi presenti inadeguato. Attraverso tre fasi di intervento si propone di trasformare radicalmente l'aspetto della zona: non più una serie di edifici bassi disposti a “filare”, ma più nuclei ad alta densità disposti attorno ad aree verdi comuni. Secondo l'ipotesi, in questo modo è possibile diminuire del 16% la superficie coperta, decuplicare il verde fruibile (100.000 mq), incrementare la superficie costruita, ma creando spazi per tutti quei servizi indispensabili per la vita di quartiere (dai negozi di vicinato ai coworking, dai laboratori artigianali alle scuole e ai centri di assistenza). Un quartiere che torna ad essere a misura d'uomo, autosufficiente e finalmente re-inserito in un più ampio contesto urbano in modo omogeneo e armonico.
La città safe è, quindi, quella dove architettura, ambiente, economia, cultura e comunità dialogano sullo stesso piano. Una visione di rigenerazione attiva, che può essere virtualmente estesa a tutte le città italiane. In tutto il Paese sono in essere numerose iniziative di rilancio delle città, attivate sia da enti pubblici che privati: un'occasione importante per disegnare un nuovo volto delle nostre città, proiettate sì al futuro, ma senza dimenticare la loro essenziale radice umana.
Perché, come ha detto Nelson Mandela: “La visione senza azione resta un sogno. L'azione senza visione è una perdita di tempo. La visione unita all'azione, però, può cambiare il mondo.”
Amministratore Delegato Progetto CMR
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