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Ripensare i processi decisionali pubblici come priorità del Paese

C'è forse un elemento che, più di ogni altro, accomuna la prossima tornata elettorale a quella precedente. Non certo i risultati, dato che sembra ormai scontata la vittoria del centrodestra, quanto la persistente difficoltà di uscire dalle secche di una cultura politica incapace di riconoscere i profondi cambiamenti che hanno interessato la società italiana innescando quel progressivo processo di trasformazione che, attraverso il sistema dei partiti, avrebbe dovuto condurre ad un ripensamento dell'intera struttura istituzionale del Paese

di Fabio G. Angelini*

(AJay - stock.adobe.com)

3' di lettura

C'è forse un elemento che, più di ogni altro, accomuna la prossima tornata elettorale a quella precedente. Non certo i risultati, dato che sembra ormai scontata la vittoria del centrodestra, quanto la persistente difficoltà di uscire dalle secche di una cultura politica incapace di riconoscere i profondi cambiamenti che hanno interessato la società italiana innescando quel progressivo processo di trasformazione che, attraverso il sistema dei partiti, avrebbe dovuto condurre ad un ripensamento dell'intera struttura istituzionale del Paese.

La scorsa tornata elettorale ha visto trionfare il M5S con il suo approccio antisistema e un metodo di interazione con la società incentrato sulla retorica della democrazia diretta e sul ruolo delle nuove tecnologie nei processi democratici, fortemente sbilanciato su un'idea della rappresentanza intesa più come Vertretung, ovvero rappresentanza della molteplicità che come Repräsentation e, dunque, come rappresentazione dell'unità politica in funzione della cura dell'interesse collettivo.

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Tale approccio non ha retto alla prova del governo. Da un lato, la visione antisistema ha ben presto ceduto il passo alle lusinghe dell'esercizio del potere e, dall'altro, la difficoltà di canalizzare la rappresentanza di interessi particolari all'interno di un processo rappresentativo in grado di esprimere decisioni espressione non solo a una parte dell'elettorato ma dell'intera comunità politica ha prodotto la solita instabilità, incoerenza nell'azione di governo e, dunque, interventi legislativi e riforme che richiederanno senz'altro profonde revisioni nella prossima legislatura.

Ora però il Paese richiede risposte concrete e compromessi politicamente autorevoli per far fronte ad un autunno che si preannuncia caldo. Quello dell'inadeguatezza del processo rappresentativo è un problema irrisolto che, come testimoniano gli ultimi dieci anni, siamo sin qui stati in grado di affrontare solto temporaneamente e spesso solo in presenza di condizionamenti esterni (la crisi del debito sovrano, l'emergenza pandemica, la gestione del PNRR e così via), attraverso il ricorso a meccanismi istituzionali che, tuttavia, nello stesso modo in cui hanno contribuito a superare problemi contingenti, hanno determinato un aggravamento di tale inadeguatezza generando disaffezione nei confronti delle istituzioni e alimentando una domanda politica eccessivamente frammentata, instabile, più incline a votare contro (la finanza internazionale, l'UE, il pericolo neofascista e così via) che a valutare programmi e proposte.

In questa tornata elettorale deve essere dato merito al centrodestra di aver posto al centro del dibattito politico il tema dell'adeguatezza dei nostri processi decisionali pubblici nella prospettiva di una maggiore aderenza alle istanze del popolo reale. I segnalati problemi del processo rappresentativo, unitamente alla crescente influenza dell'ordinamento europeo sulle dinamiche politiche interne, come testimonia il forte ridimensionamento del peso dell'indirizzo politico nazionale rispetto al crescente condizionamento esercitato dalle istituzioni eurounitarie, ne fanno un tema di primaria grandezza.

Non si tratta però di seguire l'esempio di altri Paesi sul terreno della messa in discussione della prevalenza del diritto europeo su quello interno, quanto piuttosto di prendere atto del fatto che il nostro assetto istituzionale deve essere adeguato secondo una visione che, per ambire ad un equilibrio tra le segnalate diverse dimensioni della rappresentanza, richiede un processo democratico-istituzionale più equilibrato, in grado di bilanciare il necessario pluralismo sociale con le esigenze di governabilità e di stabilità finanziaria che la competitività internazionale ci impone per sostenere il nostro sistema economico-produttivo e il nostro modello sociale.

È un tema che deve essere preso molto sul serio, mettendolo però al riparo dalla propaganda e dal populismo di destra e di sinistra. Il che rinvia alla necessità di accompagnare sul piano della teoria costituzionale e della teoria delle istituzioni tali processi politici affinché essi possano innestarsi su una solida cultura politica in grado di orientare le dinamiche di funzionamento del sistema istituzionale nella direzione auspicata di una maggiore stabilità e rappresentatività, garantendone il corretto funzionamento e preservandolo da sempre possibili spirali degenerative tanto in chiave tecnocratica quanto plebiscitaria.

Fabio G. Angelini, Professore di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università Uninettuno di Roma

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