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Ripresa, occasione da non sciupare

di Valerio De Molli

(Agf)

5' di lettura

Le regole e gli schemi con cui finora abbiamo guardato e analizzato l’economia sembrano non valere più, o valere molto poco. La rivoluzione tecnologica in atto, i fenomeni di digitalizzazione e automazione, l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento degli stili di consumo e la globalizzazione sempre più spinta possono aver modificato, anche in modo sostanziale, il paradigma economico da noi conosciuto. A oggi gli economisti e le banche centrali dichiarano di non avere tutti gli strumenti interpretativi di questa nuova realtà e di navigare, spesso, in un territorio inesplorato.

La riprova è che eventi che fino a poco tempo fa avrebbero innescato forti reazioni sui mercati finanziari e sul sistema economico oggi vengono quasi totalmente ignorati.

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I principali indici della borsa americana - Dow Jones Industrial Average, il Nasdaq 100 e S&P 500 - hanno macinato un record dietro l’altro, aggiornando più volte nel corso dell’anno il proprio record storico. Lo S&P 500 con la chiusura di novembre ha fatto registrare 13 mesi consecutivi di rendimenti positivi dimostrando di non preoccuparsi né per le tensioni con la Corea del Nord, né di alcune difficoltà incontrate da Trump nel convincere una parte importante del partito Repubblicano a modificare la riforma Obama sulla sanità, sfidando e battendo anche la cabala che, specialmente nel mondo anglosassone, considera il 13 come numero sfortunato.

In questo scenario la Fed si avvia verso il terzo rialzo dei tassi dal 2015 (l’ultimo deciso dalla governatrice Janet Yellen, che da marzo 2018 sarà sostituita da Jerome Powell). La disoccupazione cala al 4,1% e il Pil cresce del 2,1% su base annua.

Il 2017 è stato un anno di crescita anche in Europa, a una velocità quasi doppia rispetto a quanto previsto l’anno scorso in questo periodo. Anche qui poco o nulla ha impattato sull’economia e sui mercati il tentativo di secessione dalla Spagna intrapreso da parte del governo catalano.

In aggiunta, nonostante gli sforzi, senza precedenti storici, realizzati dalle principali banche centrali a livello mondiale, anche l’inflazione sembra ormai sparita dai radar e non rispondere più alle leggi che la governavano fino a pochi anni fa.

Storicamente l’economia ci ha insegnato che il tasso di interesse e la quantità di moneta presenti in un sistema economico impattano in modo significativo sull’inflazione. Dopo 10 anni di tassi bassi e iniezioni di liquidità da parte di tutte e tre le maggiori banche centrali del pianeta, l’inflazione rimane bassa e lontana dal target del 2%. La forte opposizione tedesca alle iniezioni di liquidità da parte della Bcec era spiegata proprio dal timore di una conseguente esplosione dell’inflazione. Oggi nell’eurozona l’inflazione core è ferma allo 0,9%, in Giappone allo 0,8% e negli Usa all’1,7%. Gli oltre 14 trilioni di dollari di moneta iniettata nel sistema economico dalla Banca Centrale Europea, dalla Federal Reserve americana e dalla Banca Centrale del Giappone poco hanno fatto sul fronte della ripresa dell’inflazione.

Di recente, l’unico esempio di legame tra azione politica e risposta economica e finanziaria è il caso britannico. L’esito del referendum ha prodotto una fuoriuscita di capitali dal Regno Unito con conseguente deprezzamento della Sterlina che, a sua volta, ha provocato un innalzamento dei prezzi di tutti i beni importati e una perdita del potere d’acquisto dei cittadini. Ciò ha provocato anche un innalzamento dell’inflazione (oltre il 3% nel mese di novembre), che però deriva più da fenomeni finanziari (fuga di capitali e deprezzamento della sterlina) che da una sana crescita della domanda.

Ma quanto è forte la relazione tra scelte politiche e andamento economico? Potremo capirne di più nei prossimi mesi osservando quanto accadrà in Germania e in Italia. La Germania, infatti, si trova per la prima volta nell’impossibilità di formare un governo coeso e nel pieno dei suoi poteri, a causa della frammentazione politica uscita dalle ultime elezioni. In Italia è probabile che nelle prossime elezioni nessun polo riesca a ottenere i numeri per formare, da solo, un Governo. Storicamente, in un Paese l’assenza di un Governo stabile è stata caratterizzata da maggiore instabilità finanziaria ed economica. Tuttavia, anche in questo caso ricordiamo che la Spagna è rimasta senza Governo per quasi tutto il 2016, ma è cresciuta del 3,2% contro l’1,9% della Germania e lo 0,9% dell’Italia, che avevano Governi in carica.

L’Italia oggi viaggia a una velocità pari all’1,7% che ci dà un ottimo abbrivio per il 2018. La crescita ha accelerato nella seconda parte dell’anno, come già emergeva dai nostri indicatori previsionali sullo stato di salute dell’economia, degli investimenti delle imprese e del lavoro, che si attestavano su valori record degli ultimi anni.

Le rilevazioni dell’Ambrosetti Club Economic Indicator del quarto trimestre dell’anno confermano e rafforzano queste indicazioni. I nostri indicatori aggiornano i massimi storici su tutte le dimensioni. Valutazione attuale sull’andamento del business, prospettive sull’occupazione e prospettive sugli investimenti sono ai livelli record dall’inizio delle rilevazioni. I risultati non rappresentano solamente una conferma della crescita anche nei prossimi mesi, ma una ulteriore accelerazione rispetto alla situazione attuale.

Ricordiamo che i nostri indicatori sono costruiti sulla base dei risultati ottenuti da una survey che realizziamo ogni tre mesi per la business community del Club Ambrosetti, composto di oltre 350 imprenditori, amministratori delegati e rappresentanti dei vertici aziendali delle più importanti società italiane e multinazionali che operano in Italia.

A dicembre l’indicatore di sentiment sulla situazione attuale dell’economia raggiunge il record storico a 44,4 punti in aumento di 6 punti rispetto alla rilevazione di dicembre (che aveva segnato già il record storico) e di 16 punti rispetto alla rilevazione di giugno. La nostra business community non solo dà una valutazione positiva dell’attuale situazione economica, ma ha attese di ulteriori accelerazioni della ripresa.

Con riferimento alle prospettive sull’occupazione i risultati si attestano a 21,1 e migliorano il record storico rilevato a settembre, anche se in modo molto contenuto. Ciò rappresenta una conferma della situazione rilevata a settembre.

Anche con riferimento agli investimenti il valore di sentiment raggiunge il record storico a 34,4, migliorando di oltre 2 punti il valore di settembre.

A nostro avviso molto positiva è la crescita degli investimenti che è stabile e continua da 4 trimestri. Ciò rappresenta anche un segno della fiducia che le imprese hanno nel futuro e nell’economia del nostro Paese. Ricordiamo che gli investimenti hanno un effetto positivo sulla crescita potenziale e futura, che a sua volta ha un effetto positivo sul lavoro e sulle opportunità per giovani e talenti.

In conclusione i nostri indicatori ci restituiscono segnali positivi su tutti i fronti, anche se sul mercato del lavoro il miglioramento di quest’anno non ci ha fatto uscire dalla zona rossa: la disoccupazione rimane molto alta all’11,1%, anche se in riduzione rispetto all’11,7% dell’anno scorso. A conferma di questa positività sono anche i riscontri diretti che otteniamo durante gli incontri regolari con la nostra business community che ci indica, in molti settori economici, come le vendite e gli ordinativi futuri sono tornati a valori uguali o superiori a quelli pre-crisi.

Potremmo in conclusione aspettarci, per l’Italia, un andamento economico per il 2018 anche superiore alle previsioni formulate dai principali Istituti globali, a prescindere da quale sarà l’esito delle prossime elezioni.

Il caso della Spagna docet.

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