Rischi sistemici dal private debt? Ecco cosa dice lo «stress test» di S&P
L’analisi su 2mila società che emettono debito privato per un valore di 400 miliardi di dollari rivela rischi gestibili, anche se da non sottovalutare. La portata del mercato privato resta ridotta, ma concentrazione degli attori e trasparenza limitata meritano attenzione.
4' di lettura
Non è probabilmente in grado di creare un vero e proprio rischio sistemico per i mercati finanziari in caso di eventuale crisi, ma abbassare la guardia proprio adesso sarebbe un errore da pagare caro. L’ascesa del private debt è stata davvero rilevante negli ultimi anni: l’ammontare investito in questa asset class sempre più popolare si è infatti quadruplicato nell’ultimo decennio, e viene stimato allo stato attuale attorno ai 1.750 miliardi di dollari a livello globale. La sua avanzata non sembra destinata però per il momento a rallentare, visto che BlackRock prevede un tasso di crescita annuo composto del 15% circa nel prossimo quinquennio per approdare quindi a 3.200 miliardi entro il 2028.
Comprensibile quindi come al tempo stesso si moltiplichino anche gli interrogativi sulla sostenibilità di una meccanismo finanziario che non è pubblico e che, a torto o ragione, si ritiene faccia parte di un ecosistema più ampio di mercati opachi, illiquidi e non regolamentati. E a misurare le possibili conseguenze su scala globale di una bufera che rischia di essere innescata dall’attuale situazione caratterizzata da crescenti pressioni creditizie per tassi elevati e possibile recessione, sono gli analisti di S&P Global Ratings con una serie di domande e risposte che hanno la finalità di porre l’attenzione sulle crescenti sfide del mercato.
Un mercato ancora ridotto
«L’ammontare erogato attraverso il credito privato corrisponde a circa il 4% del debito totale delle imprese non finanziarie negli Stati Uniti e appena all’1% di quelle europee», nota in prima battuta S&P, già attiva anche sui mercati privati poiché fornisce rating ai fondi di investimento alternativi o direttamente alle aziende. La logica conclusione è quindi che il private debt «rappresenta un rischio significativo, ma non sostanziale, per i sistemi finanziari», anche perché sulla carta le difficoltà delle imprese che si finanziano attraverso questo canale sono della stessa natura rispetto a quelle di chi emette debito collocato poi su mercati pubblici.
Qui però arrivano le prime distinzioni fra private e public debt, che per S&P riguardano più che altro il tipo di aziende, la struttura del capitale e i termini e le condizioni di finanziamento applicabili. «In genere i debitori privati sono piccole imprese che non possono accedere ai mercati pubblici o non sono pronte a farlo e, secondo la nostra valutazione, rientrano nelle categorie di rating B- o inferiori», spiega Paul Watters, Head of Corporate Research Europe di S&P Global Ratings, che invita quindi a porre «maggiore enfasi sui loro flussi di cassa, poiché la capacità di uscire dai crediti in sofferenza è molto limitata». Il discorso prosegue poi constatando da una parte che «queste imprese dipendono in larga misura da uno o da un gruppo molto ristretto di creditori per il sostegno finanziario» e dall’altra che la natura a tasso variabile del credito privato (quasi la totalità dei prestiti, contro il 10% delle emissioni pubbliche investment grade e il 40% degli high yield seguiti da S&P) fa sì che «i debitori privi di copertura siano sensibili agli aumenti dei tassi di interesse».
L’analisi di S&P
Sotto tale aspetto, S&P ha appena condotto su oltre 2.000 società che si finanziano sui mercati privati con più di 400 miliardi di dollari di debito aggregato uno «stress test» basato di ipotesi differenti riguardo un possibile ulteriore aumento dei tassi e un’erosione dei margini, arrivando a disegnare uno scenario futuro non certo allarmistico, ma neanche da sottovalutare. «Gli emittenti che hanno ottenuto prevalentemente un rating B- potrebbero presentare caratteristiche spesso associate alla categoria CCC ed essere quindi a rischio di declassamento», avvertono gli analisti, che individuano il tallone d’Achille nelle strutture di capitale, tipicamente composte per intero da debito a tasso variabile, oltre che nel premio più elevato che viene richiesto dagli investitori. E se «le scadenze del debito sembrano gestibili per i prossimi 12-18 mesi» un contesto di tassi d’interesse più elevati e a lungo «metterebbe in crisi - secondo l’agenzia - molti emittenti in vista di un calendario di scadenze più pesante a partire dal 2025».
Il nodo della trasparenza e della fiducia
Gli elementi di vulnerabilità non mancano quindi, e invitano a mantenere elevata l’attenzione. Anche perché se è vero che le dimensioni del mercato al private debt non sono in sé ancora tali da spaventare, quando ci si riferisce al rischio sistemico vi sono altri fattori da considerare, che gli analisti individuano negli «effetti di concentrazione e di fiducia». Il primo aspetto si verifica infatti «quando un piccolo numero di operatori detiene un rischio sostanziale e non trasparente per volume e qualità del credito sottostante», sottolinea Watters, che riporta alla mente la crisi finanziaria globale del 2008-2009 quando il crollo di operatori quali Lehman Brothers e Aig fu in grado di «innescare una crisi di fiducia del mercato, data la mancanza di trasparenza sulla qualità delle attività sottostanti, cioè dei prestiti».
Oggi la situazione è chiaramente differente, eppure S&P avverte che «nel credito privato esiste tra gli investitori istituzionali e gli intermediari di fondi una notevole asimmetria informativa sulla qualità delle aziende debitrici, più pronunciata in Europa rispetto agli Stati Uniti data la minore maturità del mercato». In altre parole, chi investe nel private debt non ha spesso risorse a sufficienza da dedicare all’analisi degli strumenti e deve per forza affidarsi «all’esperienza e alla buona volontà» di chi di fatto gestisce i fondi. «La continua tensione tra gli investitori che cercano più trasparenza e gli intermediari dei fondi che tendono invece a proteggere una maggiore informativa sulla qualità degli asset» contribuisce insieme alla concentrazione degli operatori ad alimentare i dubbi e spinge S&P a tenere in sospeso la risposta al quesito se il settore del credito privato possa davvero rappresentare un rischio sistemico per i mercati finanziari: «probabilmente no, forse sì».
loading...