Rischio coronavirus, è corsa per decongestionare le carceri
Il Dl «cura Italia» ha previsto una forma speciale di detenzione domiciliare, ma l'impasse del braccialetto elettronico e l'incertezza delle procedure rischiano di ridurne l'impatto
di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei
3' di lettura
Il rischio che il coronavirus dilaghi nelle carceri, dopo i casi di detenuti positivi registrati nei giorni scorsi, ha riportato in primo piano la necessità di ridurre il sovraffollamento per allentare le tensioni che hanno scatenato rivolte in vari istituti di pena, con morti ed evasioni. Per agevolare le uscite, da quando l’epidemia è iniziata, sono state sfruttate al massimo le strade offerte dall’ordinamento: la liberazione anticipata, che prevede sconti di pena per chi partecipa ai programmi di rieducazione, e la detenzione domiciliare per chi ha una pena da scontare (anche residua) sotto i 18 mesi.
Nella stessa direzione si è mosso il decreto legge “cura Italia” (18/2020) che ha introdotto una forma speciale di detenzione domiciliare, valida fino al 30 giugno. Sull’impatto dell’intervento pesa però l’impasse dei braccialetti elettronici e l’incertezza delle procedure.
Le uscite
I primi ad attivarsi sono stati i magistrati di sorveglianza, che devono vigilare sull’esecuzione della pena nel rispetto dei diritti dei detenuti. «Da febbraio abbiamo iniziato a fare un ricorso più ampio alle misure alternative alla detenzione, estendendo l’interpretazione delle norme nel rispetto della Costituzione», spiega Antonietta Fiorillo, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna e coordinatore nazionale del Conams, l’associazione dei magistrati di sorveglianza. Si tratta soprattutto della detenzione domiciliare introdotta dalla legge 199/2010, e della liberazione anticipata.
Carceri, i numeri dell’allarme
Un impegno che sta dando i primi risultati: se al 29 febbraio scorso, secondo il ministero della Giustizia, le persone in carcere erano 61.230, al 20 marzo erano scese a 59.132, duemila in meno, come ha rilevato il Garante nazionale dei detenuti. Ancora troppi, comunque, rispetto alla capienza regolamentare dei penitenziari, che non arriva a 51mila posti.
Il decreto “cura Italia” ha introdotto una nuova possibilità: una forma speciale di detenzione domiciliare, utilizzabile fino al 30 giugno che prevede una procedura semplificata, ma anche motivi ostativi nuovi. E a chi sconta pene sotto i 18 mesi ma sopra i sei deve essere applicato un braccialetto elettronico.
Le criticità
I tempi con cui si diffonde il virus potrebbero essere incompatibili con quelli necessari a reperire i braccialetti elettronici e con la durata delle procedure, semplificate, ma non automatiche (serve un’istruttoria). E la misura avrà comunque un impatto ridotto: a lasciare le celle potrebbero essere 3.000 o 4.000 detenuti, un numero non sufficiente a raggiungere la capienza regolamentare e a disinnescare la “bomba” carceri. Numeri contenuti, sia perché la norma prevede motivi ostativi nuovi rispetto alla “normale” detenzione domiciliare, sia perché sono molti i detenuti che non hanno una casa presso cui scontare la pena, a partire dagli stranieri; e le comunità a cui di solito vengono inviati stanno sospendendo l’accoglienza per l’emergenza sanitaria.
C’è poi il rebus dei braccialetti elettronici. Il decreto prevede che il numero di quelli «da rendere disponibili» venga individuato entro venerdì 27 marzo. Si terrà conto degli indici di sovraffollamento e delle situazioni di emergenza sanitaria e, in caso di «disponibilità parziale», si darà priorità ai detenuti con residui di pena più bassi. Secondo la relazione tecnica i braccialetti disponibili «fino al 15 maggio» sono 2.600.
Ma quanti sono quelli utilizzabili subito? La loro carenza è un problema cronico. Nel 2017 Fastweb si è aggiudicata la gara bandita dal ministero dell’Interno per fornire e attivare 1.000-1.200 braccialetti al mese per 36 mesi. L’azienda sottolinea che «sta ponendo in essere tutte le azioni necessarie per rispondere alle richieste» e che «i braccialetti elettronici richiesti sono stati attivati».
Ma «oggi i dispositivi non bastano neanche per la custodia cautelare - dice Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali -. Il Governo deve chiarire quanti sono i braccialetti disponibili ora, altrimenti la misura è ineseguibile. Oltre al fatto che per gestire un’eventuale diffusione del virus devono uscire almeno 10mila persone».
Nulla è previsto invece per i detenuti in carcere in custodia cautelare, che sono ancora in attesa del primo grado di giudizio: si tratta di 9.408 persone, per cui la sospensione delle udienze e dei termini massimi di custodia fino al 15 aprile, prevista sempre dal decreto “cura Italia”, avrà il probabile effetto di allungare i tempi di reclusione.
Per approfondire:
● Le riforme necessarie per affrontare l'emergenza carceri
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