Ristori anche per le dimore storiche
Previsti minori ricavi per la pandemia per oltre 1,8 miliardi di euro nel 2020, a rischio 30mila posti di lavoro. Primo studio nazionale dell'Osservatorio sul Patrimonio Culturale Privato
di Roberta Capozucca
4' di lettura
Da tempo ci si sforza di richiamare l'attenzione pubblica sulla necessità di impegnarsi affinché l'ineguagliabile ricchezza dei borghi italiani possa tornare a essere vitale per il tessuto economico e sociale del nostro Paese: un tema che oggi, alla luce dei mutamenti delle abitudini lavorative e di vita accelerate dall'esplosione del virus, risulta più centrale che mai.
Secondo il primo Rapporto dell'Osservatorio sul Patrimonio Culturale Privato , recentemente promosso dall' Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI) e Fondazione Bruno Visentini con il contributo di Confagricoltura e Confedilizia e il supporto di Banca Consulia , a rappresentare la chiave di volta nella costruzione di politiche di valorizzazione e sviluppo dei piccoli borghi potrebbero essere proprio gli immobili storici diffusi in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. Stiamo parlando di oltre 17.000 immobili tra ville, palazzi, masserie, castelli, rocche, parchi, giardini e tenute agricole, che nel 54% dei casi si trova in Comuni con meno di 20.000 abitanti e nel 29% dei casi addirittura sotto i 5.000 residenti. Un immenso patrimonio in mano ai privati, che ogni anno accoglie più di 45 milioni di visitatori e che, grazie alla possibilità di agire in maniera privatistica, intreccia la filiera culturale con quella degli eventi, dell'agroalimentare e dell'edilizia con ricadute positive su tutto il territorio di riferimento.
Recentemente, anche la Commissione Europea si è interessata al tema, pubblicando nel 2019 la prima indagine sul valore aggiunto delle dimore storiche per i territori residuali. Secondo lo studio “Heritage Houses for Europe ”, nel 2018, il patrimonio culturale privato ha favorito la creazione di ben 9 milioni di nuovi posti di lavoro in tutta Europa, generando un indotto di circa 335 miliardi di euro. Nonostante ciò, come emerge chiaramente da entrambi i report, gli introiti generati dalle attività commerciali non sono quasi mai sufficienti a sostenere l'investimento che i privati fanno per garantire l'apertura al pubblico degli stessi immobili. In Europa, circa il 45% delle dimore storiche subiscono perdite che gli stessi proprietari sono costretti a risanare. In Italia, ad esempio, a causa delle chiusure legate alla pandemia, il settore del patrimonio culturale privato ha perso per circa 1,8 miliardi di euro con circa 30.000 posti di lavoro a rischio, che però, come sottolinea lo studio dell'Osservatorio, proprio a causa di questa ambigua posizione di titolarità e proprietà, non gli ha permesso di accedere ai ristori offerti dal MiBACT . Il settore maggiormente sotto pressione è risultato essere quello vitivinicolo (con perdite di circa un miliardo di euro), seguito da quello degli eventi (meno 278 milioni di euro) e dal settore delle visite in dimora (meno 268 milioni di euro). Dati che escludono le perdite di tutto l'indotto che queste attività generano sul territorio.
Alla Camera
“Superare la distinzione normativa tra bene culturale pubblico e privato è il primo passo da compiere per supportare i proprietari di questi immobili e favorire l'integrazione del settore nello sviluppo delle politiche culturali nazionali. Tutte le dimore storiche, anche quelle non aperte al pubblico, rappresentano infatti un elemento portante del patrimonio nazionale, contribuendo alla bellezza del paesaggio e direttamente o indirettamente alla capacità di un territorio di attrarre turismo e iniziative artistiche e culturali. Proprio da qui si dovrebbe ripartire per costruire una politica di valorizzazione dei borghi italiani fondata su un turismo sostenibile a supporto della decongestioni dei flussi turistici nelle principali città d'arte”. Questo è quanto dichiarato dall'on. Alessandro Fusacchia che a ridosso della pubblicazione dell'Osservatorio sul Patrimonio Culturale Privato ha promosso alla Camera un Ordine del giorno che impegna il Governo a estendere anche alle dimore storiche sottoposte al vincolo di indisponibilità di cui al DLgs 42/04, gli incentivi fiscali introdotti dall'articolo 119 del decreto-legge del 19 maggio 2020, in materia di efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici, indipendentemente dal fatto che tali dimore siano aperte o chiuse al pubblico.
Anche il report si schiera a tutela dei privati, sottolineando la necessità di intervenire per aggiustare il tiro sulle attuali carenze normative e fiscali riguardanti il settore, sia rispetto al tema dei lavori strutturali che della tassazione patrimoniale. Proprio su quest'ultimo punto, lo studio prende una posizione netta, asserendo che esentare da questa imposta gli immobili situati nei Comuni di più piccole dimensioni avrebbe un onere per l'Erario molto limitato: se l'esenzione fosse applicata ai beni presenti nei Comuni con popolazione fino a mille abitanti, il costo sarebbe di appena 250 milioni di euro; in caso di applicazione ai Comuni sino a tremila abitanti, l'onere salirebbe a 850 milioni di euro.
Restrizioni e ristori
La domanda di ristori è urgente per il settore e non passa per i codici Ateco. «Il criterio dei codici Ateco quale elemento distintivo per conferire i ristori alle categorie economiche danneggiate dalle restrizioni imposte dal Covid va superato, perché assolutamente inidoneo ad assicurare che i soggetti colpiti siano effettivamente garantiti attraverso i contributi economici stanziati dal governo» ha dichiarato Giacomo Di Thiene, presidente dell'Associazione Dimore Storiche Italiane. «Apprendiamo con soddisfazione le dichiarazioni di Dario Stefano, presidente della Commissione Politiche dell'Unione Europea del Senato , in merito alla necessità di superare il criterio unico dei codici Ateco così come presente nel DL Ristori » spiega Di Thiene e prosegue «da mesi evidenziamo che i codici Ateco intervengono a favore delle sole attività ricettive, convegnistiche e di organizzazione eventi svolte in forma di impresa. Eppure, proprio per espressa previsione normativa del codice civile, i soggetti che svolgono questo genere di prestazioni all'interno di edifici storici, soggetti quindi a particolari vincoli perché costituiscono patrimonio culturale della nazione, sono autorizzati a farlo in forma individuale.È più che mai fondamentale, perciò, che venga accettato il concetto di “filiera”, a cui ha fatto riferimento il senatore Stefano, perché si contempli anche chi, come le dimore storiche, sta subendo danni economici per il blocco sia delle attività turistico-ricettive sia dell'organizzazione di eventi, congressi, fiere e attività museali» conclude Di Thiene, che sottolinea come «le previsioni di minori ricavi per gli edifici storici a causa della pandemia superano gli 1,8 miliardi di euro per il solo 2020».
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