Riuso e mobilità sostenibile: i piani per un futuro globale
di Giorgo Santilli
3' di lettura
Dalla città globale di Saskia Sassen (1994) alla città-Stato tecnocratica rilanciata ora dal geopolitologo indiano Parag Khanna (La rinascita della città-Stato, Fazi Editore) l’evoluzione dei grandi aggregati urbani resta nel dibattito economico e politico una delle chiavi dello sviluppo mondiale. Il 50% della popolazione cinese è residente in aree urbane, con 160 città di oltre un milione di abitanti. Negli Stati Uniti la rigenerazione delle ex città industriali è un motore di sviluppo che vede le punte avanzate nei modelli di intervento di Pittsburh e Chicago. In Europa le grandi città si stanno dotando di strumenti di pianificazione capaci di coniugare crescita economica, sostenibilità, mobilità efficiente, sviluppo demografico, nuova questione abitativa che superi in positivo la ferita migratoria. L’obiettivo è fare chiarezza su obiettivi, strumenti e finanziamenti ma anche attrarre investimenti stranieri. Il piano «Grand Paris» prevede la realizzazione di 70mila nuove abitazioni e 200 chilometri di metropolitana, con 4 linee nuove e 68 nuove stazioni. Il «London Infrastracture Plan 2050» pianifica 600 nuove scuole e college per rafforzare la leadership mondiale nella formazione dei figli delle borghesie di tutto il mondo.«Amsterdam 2040» punta a 70mila nuove abitazioni, lo sviluppo di Schiphol, maggiore efficienza energetica per il patrimonio immobiliare esistente. «SymbioCity» a Stoccolma pianifica una città «strong and bigger», guarda al 2040, quando l’80% dei residenti non userà l’auto, si abbatteranno le emissioni del 50% con 760 chilometri di piste ciclabili. «Hamburg Hafencity» punta su sviluppo del waterfront con abitazioni per 30mila persone e 50-70mila nuovi posti di lavoro, 6mila nuove abitazioni completate ogni anno. E significativo è che il piano di Copenaghen si chiami «Coherent City»: 45mila nuove abitazioni più due terzi della mobilità su bici e mezzi pubblici entro il 2030. Orizzonti al 2030 e oltre hanno anche i piani di Berlino, Amburgo e Barcellona.
Dagli Usa arrivano lezioni sulla rigenerazione urbana come leva prioritaria di sviluppo. Matteo Robiglio, architetto e docente di Architettura al Politecnico di Torino, racconta venti progetti di riuso nelle città americane, da New York a Philadelphia a Pittsburgh, da Washington a Detroit, e prova a definire un toolkit utile anche per le città post-industriali europee e italiane (”Re-USA, 20 american stories of adaptive reuse”, Jovis). Un aspetto fondamentale riguarda le politiche pubbliche: se si vuole effettivamente dare continuità alla esplorazione di possibilità di intervento da parte di cittadini e operatori economici privati servono Agenzie pubbliche che sostengano lo sforzo di informazione, aggiornamento, trasparenza, partecipazione, interlocuzione e progettazione come la «Urban Redevelopment Authority» di Pittsburgh o la «Detroit Blight Removal Task Force». Il saggio sposta l’attenzione dal contenitore al contenuto: «riuso avviene quando si introducono nuovi contenuti in un contenitore esistente, il riuso “adattabile” si verifica quando è il contenuto ad adattarsi al contenitore e non viceversa». Significa «massima conservazione e minima trasformazione» dove «il riuso funziona spesso meglio della demolizione e ricostruzione».
E l’Italia? Milano resta l’unica eccezione in un deserto di “vision” e di pianificazione di medio-lungo periodo delle grandi città. Intanto i comuni piccoli, medi e grandi affondano nelle difficoltà economiche che si traducono quasi sempre in blocco degli investimenti (quindi anche della possibilità di immaginare un futuro), in difficoltà crescenti di gestione dei servizi pubblici locali, in grave carenza di progettazione e, non di rado, in vero e proprio dissesto economico. Le politiche di governo per le città si devono concentrare anzitutto su strumenti di emergenza, come il salva-comuni inserito nella legge di bilancio.
Gli ultimi governi (da Monti a Gentiloni) hanno anche riproposto, dopo 15 anni di totale oblìo, la questione urbana, privilegiando però interventi settoriali e puntuali come i programmi per la riqualificazione urbana, il piano di edilizia scolastica, i fondi per gli impianti sportivi. Rilevante soprattutto il Piano periferie 2016 del governo Renzi, poi portato avanti da Gentiloni, con 120 progetti in comuni capoluoghi e città metropolitane sostenuto da 2,1 miliardi di euro di risorse statali.
Quello che è mancato e manca, invece, tuttora, è una politica nazionale complessiva per le aree urbane. Una questione riproposta ora da urban@it, centro nazionale per gli studi di politica urbana, che nel «Terzo rapporto sulle città» rilancia il tema dell’«Agenda urbana», partendo proprio dai limiti dei piani italiani per le città degli ultimi anni. Va superato - sostiene il Rapporto - il metodo del bando nazionale, perché da una parte non è stato sostenuto da adeguate analisi sulle aree e i problemi su cui concentrare i fondi; dall’altra, con l’obiettivo della veloce cantierabilità, sbandierato e quasi mai centrato, ha premiato vecchi progetti contenuti nei cassetti, anziché stimolare l’innovazione.
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