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Rivoluzione 4.0, ecco perché solo con le Pmi ci potrà essere la vera svolta

La spinta digitale procede ma coinvolge solo in parte le aziende minori. Imprenditori concordi, fondamentale portare a bordo le Pmi

di Luca Orlando

4' di lettura

È stato fondamentale avviare il percorso. Che ora però va proseguito, coinvolgendo le Pmi e puntando anche sulla formazione. La rivoluzione 4.0 che diventa regola è tema del dibattito a Trento, con imprenditori, manager ed economisti concordi nel vedere in quel piano avviato nel 2017 un punto di svolta epocale. Oggi pare la normalità ma allora, quando il piano di incentivazione 4.0 fu avviato, sembrava in effetti per l’Italia qualcosa di straordinario.

«Un passaggio che noi imprenditori abbiamo fortemente voluto - spiega l’allora presidente di Confindustria e oggi presidente della Luiss Vincenzo Boccia - perché eravamo e siamo anche ora convinti che solo scommettendo sull’innovazione l’Italia possa mantenere il proprio spazio competitivo sui mercati mondiali. La spinta di quella scelta di politica industriale, che come avevamo auspicato ha guardato ai fattori e non ai settori, è stata determinante perché grazie all’iperammortamento le imprese sono state accompagnate verso il cambiamento, cioè verso il futuro».

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L’ingresso di nuove tecnologie in fabbrica è diventato in effetti pervasivo e se la digitalizzazione in passato era terreno battuto solo da alcuni settori, oggi si trovano applicazioni 4.0 ovunque, dalle aziende alimentari alla meccanica. Con l’unico limite di non aver coinvolto nella misura sperata l’universo delle Pmi.

«È un percorso avviato - spiega l’economista Luca Beltrametti - ma il fatto che gli effetti sulla produttività a distanza di anni siano ancora poco visibili testimonia come la strada sia ancora lunga: non basta inserire nei processi macchine connesse, occorre cambiare il modo di lavorare. E la maggioranza delle Pmi deve ancora entrare in quest’ottica, tenendo conto che solo il 7% dei fondi legati all’iperammortamento è andato a questa categoria».

«In effetti - aggiunge il presidente di Federmeccanica Federico Visentin - sono soprattutto le grandi aziende ad aver interpretato il cambiamento in modo completo modificando davvero il proprio modello di business grazie alla digitalizzazione. Il resto del sistema lo fa solo parzialmente, così come solo in parte punta sulla formazione. Se guardiamo più in generale alla sfida della transizione digitale ed ecologica ci accorgiamo della fragilità del nostro assetto: ecco perché le imprese devono diventare più strutturate. Essere inseriti in una filiera che può fare da traino è un vantaggio ma non basta, mai come ora dimensioni e struttura sono condizioni competitive chiave».

Ma cosa accade quando si sceglie questa rotta? Come cambiano produzione e organizzazione inserendo automazione e connessione ai massimi livelli? Un racconto interessante è quello di Bayer, che nel sito di Garbagnate, alle porte di Milano, ha deciso di investire pesantemente in macchinari e applicazioni 4.0, con risultati importanti in termini di produttività, qualità, e controllo. Sito premiato anche dal World Economic Forum come uno dei migliori al mondo.

«Non significa solo inserire impianti connessi - spiega l’ad di Bayer Italia Monica Poggio - ma accettare un cambiamento profondo nell’organizzazione e nel modo di lavorare. La disponibilità enorme di dati richiede nuovi figure professionali, laureati in matematica che realizzino gli algoritmi ma anche figure ibride di “translator” che facciano da tramite tra teoria e produzione. Produttività e qualità migliorano ma gli effetti collaterali sono anche altrove. Perché in generale l’informazione è diffusa in modo trasversale, non ci sono più compartimenti stagni. E in questo senso il percorso 4.0 è anche una sfida al modello verticistico».

Spinta digitale che si lega oggi all’altro trend decisivo per il futuro delle aziende, cioè sostenibilità ed economia circolare. «Il controllo sui processi porta vantaggi innegabili - racconta Eraldo Federici, manufacturing, automotive, life sciences, aerospace & Defence director di CapGemini Italia - anche perché solo una misurazione precisa di ciò che accade in fabbrica può portare a minori sprechi e più efficienza. Lo sviluppo dell'industria sarà guidato da una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità, sia perché imposta dai regolatori, sia perché richiesta dai consumatori, che influenzano le scelte di produzione delle imprese. Una sfida che vede l'Italia divisa, con una forbice che si allarga sia tra Nord e Sud del Paese, con il Nord che è più pronto e preparato rispetto al Sud, che tra grandi e piccole e medie imprese. Spesso quello che manca è la consapevolezza che la sostenibilità non può riguardare solo le attività o i processi di un'azienda, ma deve essere estesa lungo tutta la supply chain, e in questo le tecnologie digitali svolgono un ruolo fondamentale, poiché in grado di abilitare processi efficienti e responsabili da un punto di vista ambientale e sociale».

Sviluppo tecnologico grazie al quale si crea anche un indotto rilevante, come testimoniato dalla nascita di migliaia di start-up. Tra queste ad esempio Mipu, fondata da Giulia Baccarin, arrivata ad un organico di oltre 70 persone con una stima di altre 40 assunzioni. Grazie alla crescita continua nella manutenzione predittiva e nella costruzione di algoritmi in grado di dare risposte ai problemi delle aziende.

«Abbiamo clienti nei settori dell’energia che ci chiedono ad esempio di prevedere il riempimento degli invasi idroelettrici - spiega Giulia Baccarin - oppure altre che monitorando in tempo reale lo stato di salute delle proprie macchine riescono ad intercettare quei segnali di attenzione che anticipano le rotture evitando lunghi stop alla produzione». Lo stesso Pnrr ha in un certo senso incentivato una virata “digitale” anche alla Pa, con più di una amministrazione impegnata a commissionare algoritmi ad hoc, in grado di distribuire in modo ottimale le risorse tenendo conto di tutti i vincoli geografici, settoriali e dimensionali imposti dallo schema Ue.

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