Rivoluzione in negozio, più design per conquistare lo shopping
di Giulia Crivelli
3' di lettura
È il più americano dei brand e negli Stati Uniti il suo fondatore, Ralph Lauren, è un’icona. Come lo sono Giorgio Armani in Italia o Karl Lagerfeld in Francia e Germania. Li pensiamo infallibili, forse persino immortali o almeno fuori dal tempo. Invece è proprio un segno dei tempi, al plurale, quello arrivato pochi giorni fa con l’annuncio della chiusura del negozio Polo Ralph Lauren di New York, sulla Fifth Avenue. Aperto nel 2014, con una superficie che sfiora i 4mila metri, si dice costasse solo di affitto oltre 20 milioni di dollari all’anno e che il break even fosse un miraggio. La decisione di Ralph Lauren è legata a un più generale taglio dei costi, ma il ripensamento sulla rete e il format dei negozi è forse il tema più attuale del mondo della moda e del lusso. Come in tutti i momenti di crisi, ci sono problemi, ma anche grandi opportunità, specie in Italia.
Lo dimostrano gli investimenti nel nostro Paese di Hmkm, società di consulenza fondata a Londra 27 anni fa e da sempre specializzata in retail design. Dal 2014 Hmkm è parte di Interbrand Group e i legami con il made in Italy esistono da sempre. «Uno dei primi clienti di Hmkm, nel 1990, fu Valentino, rapidamente seguito da Moschino e Furla – ricorda Christian Papa, creative director e proprietario della società –. L’idea di rafforzare la posizione sul mercato italiano non è casuale ed è importante unire il nostro know how a quello della sede milanese di Interbrand». I clienti di Hmkm non sono solo marchi del lusso o del segmento premium: ci sono i department store La Rinascente, Selfridges e Harrods, giganti dello sportswear come Nike e Primark nel fast fashion. Oltre a catene che hanno rivoluzionato i rispettivi settori, ad esempio Victoria’s Secret. «Quasi tutti i marchi hanno capito che non è più il tempo di punti vendita standardizzati, però mantenere forte e chiara l’immagine del brand diversificando il concept dei negozi è un esercizio difficile. Specie se si decide per la chiusura di alcuni punti vendita non redditizi o per un ridimensionamento – aggiunge Manfredi Ricca, chief strategy officer di Interbrand per l’area Emea e l’America Latina –. In Italia possiamo innescare un circolo virtuoso con il mondo del design, sempre più legato a quello della moda, come dimostra il Salone del mobile in corso a Milano».
I dati del recente studio Retail Evolution realizzato per Fondazione Altagamma da Luca Solca di Exane Paribas, parlano chiaro: «L’era della crescita facile fatta di nuovi spazi e aumenti di prezzo è finita. I negozi non saranno più uno sfoggio di dimensioni e materiali, ma un modo per il marchio di esprimere e confermare i propri valori e la propria unicità».
Benché abusata, l’espressione migliore per riassumere queste esigenze resta story telling, confermano Christian Papa e Manfredi Ricca. «Sono convinto che la crescita continua e sostenibile di un brand sia dovuta in primis al prodotto, come insegna il caso Valentino, che dal 2011 è passato da circa 330 milioni di ricavi a oltre un miliardo, grazie a un mix quasi magico di collezioni azzeccate e comunicazione. Ma un ruolo l’ha avuto senz’altro anche l’evoluzione del retail. C’è stata la stessa attenzione all’unicità per i negozi e per i prodotti».
Le strade sono tante e ogni brand deve cercare la sua, conclude Manfredi Ricca: «C’è chi aumenta gli investimenti nei pop-up store, chi si affida a più architetti, chi progetta spazi modulari, facilmente modificabili senza il bisogno di una completa ristrutturazione. Bisogna evitare alcuni errori, per quanto riguarda l’aspetto hi tech e la ristorazione. Ogni maxi schermo deve avere un suo perché e non sempre aprire un bar tra vestiti e scarpe aiuta. Meglio sforzarsi di raccontare qualcosa del brand che lasci un bel ricordo e spinga a tornare in quello spazio, che ci ha incuriosito e ci ha fatti sentire accolti, anche se non abbiamo comprato». Ogni negozio, per usare un’espressione cara agli antichi romani, deve aspirare ad avere il suo genius loci.
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